La sfida di creare un’identità dei moderati senza estremismi
Nasce il nuovo centrodestra che ragiona in termini alternativi, ma senza scomuniche, nei riguardi del centrosinistra? Stefano Parisi ha decisamente puntato a questo obiettivo organizzando la sua convention: niente «partitini», ma percorsi per arrivare l’anno prossimo ad una «piattaforma di governo». Come dire che innanzitutto bisogna darsi l’obiettivo di ridare un’identità a una platea che ormai non può più essere raccolta sotto l’antica bandiera berlusconiana che aveva come ragione impedire che la sinistra alternativa agli anni dell’egemonia democristiana ( i “comunisti” nel vecchio linguaggio immaginifico) stabilisse un nuovo lungo periodo di egemonia marginalizzando le classi dirigenti e i ceti cresciuti nel contesto ormai in macerie.
Oggi il panorama è del tutto diverso. In parte perché Berlusconi ha vinto quella scommessa impedendo che tutto il potere andasse alla “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto e compagni, per cui c’è stato un turbolento ventennio di alternanze con il limite che ciascuno cercava poi di fare il minor numero di prigionieri possibile. In parte perché il mondo è cambiato un bel po’ e né quella vecchia sinistra, né il confuso liberalismo superficiale di Berlusconi sono stati in grado di governare la crisi economica in atto ormai da più di un decennio. E con la crisi economica ce n’è una sociale che ha prodotto i suoi “mostri”: nel senso specifico della parola, cioè i suoi fenomeni inattesi e incongruenti con i vecchi parametri.
Dunque è di una nuova narrazione che ha bisogno la parte “moderata” del Paese se non si vuol lasciare campo libero a chi, come Renzi, ha capito da tempo che si tratta di una componente che può essere attratta nel campo del nuovo progressismo. Gli steccati ideologici sono cose del tempo che fu.
Perciò Parisi parla di creare una «comunità politica nuova», cioè prima che un raggruppamento di votanti, un corpo che si riconosce in un certo contesto interpretativo circa i mali del presente e le angosce per il futuro. In questa fase la narrazione si mantiene ancora sul generico, perché quando si vuole coagulare bisogna lasciar spazio alle idee di quelli che si vogliono raccogliere sotto le proprie bandiere. Annunciando di mettere in piedi una formazione dominata non dall’ossessione di “votare contro”, ma dall'ambizione di “votare per”, chiarisce la sua distanza dalle due anime che cercano di monopolizzare l'area del tradizionale centrodestra. Da un lato il Salvini che punta a monumentalizzare le paure, che insulta la memoria di Ciampi, che crede alla radicalizzazione dello scontro sociale come strumento per blindare e allargare il suo consenso. Dall’altro lato la nomenclatura di Forza Italia che scommette sull’eterna illusione che il potere sia sufficiente a tenere insieme il consenso: se oggi è in declino, tutti quelli che non trovano posto presso il nuovo vincitore prima o poi torneranno sotto le vecchie bandiere.
Per questo Parisi chiarisce di non voler promuovere «élite calate dall’alto» (il fallimento dei tanti movimenti di questo tipo ne mostra la scarsa efficacia), ma di cercare «energie nuove e persone affidabili». Ovvia su questo terreno la competizione con gli arruolamenti (mettiamola così) che stanno avendo luogo nell’area del nuovo centrosinistra (anche qui con gli alti lai delle dirigenze espresse dalle filiere tradizionali).
Riuscirà Parisi nell’impresa? Solo il tempo può rispondere. Quel che oggi si può registrare è che la sua iniziativa suscita speranze e attenzioni. La speranza è l’avvento di un sistema competitivo fra due orientamenti politici entrambi affidabili che consenta mobilità nelle scelte delle classi dirigenti e degli elettori, il che è la miglior garanzia per una democrazia in cui nessuno sia padrone troppo a lungo e senza rischi delle posizioni di potere che si conquista.