Il Sole 24 Ore

La pazienza di Draghi e la non collaboraz­ione dei governi nazionali

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Caro Carrubba, lo scorso 8 settembre Draghi, come un novello Quinto Fabio Massimo, ha preferito temporeggi­are. A volte stare fermi è la soluzione migliore, ma non fare nulla potrebbe creare i presuppost­i per qualche scossone. Draghi ha contro più di un avversario tra i quali trovano posto anche i suoi “presunti” alleati. Non ci si aspettavan­o mosse a sorpresa, ma qualcosa doveva essere fatto. Forse siamo alla fine delle manovre monetarie e la palla passa ai Governi per una sana politica fiscale e una spesa pubblica efficiente e alle aziende, che se non investono rischiano . In attesa di vedere allo scoperto un erede di Scipione le auguro buon lavoro.

Marco Nagni

Falconara Marittima Il “conundrum”, come direbbero gli inglesi, nel quale si trovano Draghi e gli altri banchieri centrali è riconducib­ile all’in- certezza senza precedenti nella quale ci si muove. Di qui, la prudenza, o pazienza, di Draghi che va compresa e rispettata.

Certo, Draghi non può fare tutto da solo: già la settimana scorsa il presidente della Bce ha cominciato a stuzzicare la Germania, lanciando il segnale, tutt’altro che ba-

nale, che la politica monetaria, da sola, non può togliere le castagne dal fuoco ai governi. I quali si devono impegnare a politiche economiche e fiscali che siano in grado di restituire fiducia a cittadini e consumator­i, di far ripartire la voglia di investire, sia dall’Italia che dall’estero, di avere fiducia nel futuro. Poi, martedì scorso, accettando il premio de Gasperi, ha insistito: «Occorrono politiche (nazionali) che mettano in moto la crescita, riducano la disoccupaz­ione e aumentino le opportunit­à individual­i, offrendo nel contempo il livello essenziale di protezione dei più deboli».

Una cosa è certa: nessun politico europeo potrà mai recriminar­e contro la Bce. Bisognereb­be spiegarlo agli elettori infuriati (coi quali dovette fare i conti anche il Temporeggi­atore) che addossano alla politica monetaria le colpe che discendono più frequentem­ente dai limiti dell’azione dei governi, spesso incapaci di guardare al di là delle prossime elezioni, e di ritrovare senso e strategie per le proprie scelte.

Livio ci ricorda non solo la rivendicaz­ione di Quinto Fabio Massimo dell’efficacia della propria strategia attendista («Le cose stanno così: c’è un solo modo razionale di combattere la guerra contro Annibale, quella in cui l’ho condotta io»), ma anche la raccomanda­zione al console Emilio Paolo di guardarsi dal suo collega, opponendos­i «con sufficient­e fermezza all’opinione pubblica ( fama rumoresque hominum) e alle chiacchier­e della gente». Chissà, ci fossero stati i social, forse anche Scipione non ce l’avrebbe fatta.

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Domenico Rosa

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