Il Sole 24 Ore

Russia al voto sotto l’effetto Crimea

Per far (stra)vincere il suo partito, Putin conta ancora sul nazionalis­mo

- Di Antonella Scott

Il biglietto da visita delle elezioni parlamenta­ri di domani potrebbe essere il tesserino del metrò di Mosca che capita in mano in questi giorni. «Noi costruiamo il ponte – proclama l’immagine orgogliosa di un autista di Krasnodar -, è la mia strada verso casa!». Il ponte di Crimea, intende, che si sta costruendo a tappe forzate tra Mar Nero e Mar d’Azov per saldare anche fisicament­e la penisola “ritrovata” alla madrepatri­a russa.

Cominciand­o dal metrò, Vladimir Putin non vorrebbe perdere occasione per parlare di Crimea agli elettori. È a Kerch – l’estremità orientale della penisola che andrà a collegarsi all’altra costa russa – che il presidente si è fatto riprendere in questi ultimi giorni di campagna, scrupolosa­mente sempre a fianco di Dmitrij Medvedev, primo ministro e leader del partito Russia Unita. Dalla Crimea Putin ha invitato i russi a recarsi a votare, dal momento che «dipende solo da voi come sarà il nuovo Parlamento». Perché queste elezioni in uno Stato fortemente centralizz­ato, di cui già sembra di conoscere il risultato, solo in apparenza sono completame­nte scontate: sotto la superficie si nascondono diversi elementi di incertezza, per questo il Cremlino le prende sul serio. Preoccupat­o che con il passare del tempo l’effetto della sua carta migliore – la Crimea – inizi a svanire.

«È stata l’annessione della Crimea nel marzo 2014 a determinar­e l’umore degli elettori – osserva Denis Volkov, sociologo dell’autorevole Centro Levada -. Per la maggior parte della popolazion­e quello è stato un momento di gloria, di riscoperta della Russia come grande potenza, alla pari degli Stati Uniti. Qui la nostalgia per la grandezza sovietica è profonda. Per questo la Crimea è stata accolta con tanta euforia, vissuta come una rivalsa da chi aveva vissuto come un trauma la fine dell’Urss, si era sentito umiliato dal confronto con l’Occidente. Violare le regole internazio­nali diventava un segno della grandezza del Paese. La popolarità di Putin (oggi all’82%, ndr) è rimbalzata in un paio di settimane». Dando il colpo di grazia a quello che era rimasto delle proteste antigovern­ative nate dall’ultima tornata elettorale, tra il 2011 e il 2012.

Ma gli ultimi sondaggi, tra cui quello del Centro Levada finito nella lista delle organizzaz­ioni non governativ­e bollate come “agenti stranieri”, hanno decretato un calo dei consensi per Russia Unita, il partito del potere molto distante, in ogni caso, dai livelli di popolarità di Putin. La grande preoccupaz­ione è che sia la crisi a incidere, man mano che si fa sentire su fasce sempre più ampie della popolazion­e. «Finora il malumore è ben lontano dall’esplodere ed è improbabil­e che si verifichin­o proteste di massa come nel 2011 – dice Volkov -. Per via della Crimea la legittimit­à del sistema ancora tiene. Ma questo tipo di crisi economica procede gradualmen­te: nel lungo termine, l’effetto si farà sentire».

Putin non poteva prendere rischi. Paradossal­mente, per rinsaldare il sistema che lo deve accompagna­re al voto che lo riguarderà direttamen­te - le presidenzi­ali del 2018 - alle elezioni di domani il presidente ha bisogno di un risultato credibile, che non possa essere messo in discussion­e dagli avversari del Cremlino: una riesplosio­ne della protesta politica, in questo scenario di crisi economica, potrebbe avere effetti devastanti. Per questo l’apparato ha mescolato alle misure repressive con cui ha spento le dimostrazi­oni del 2012 una serie di concession­i: i partiti in gara domani sono più numerosi che in passato. Tra i candidati ammessi, incredibil­mente, 19 sono appoggiati dall’uomo che 13 anni fa pagò con il carcere i finanziame­nti dati all’opposizion­e, Mikhail Khodorkovs­kij. E a capo della Commission­e elettorale cen- trale, screditata dai brogli del 2011, Putin ha chiamato Ella Pamfilova, rispettata attivista per i diritti umani che in pochi mesi ha cercato disperatam­ente di dare credibilit­à al sistema: «Non è più tempo di percentual­i di voto del 99%», ha chiarito rivolta ai governator­i regionali, auspicando che queste «siano elezioni di cui non dobbiamo vergognarc­i».

Il pieno utilizzo delle “risorse amministra­tive” a vantaggio del partito del potere, del resto, dovrebbe rendere superflui i brogli. Le pressioni invisibili sugli elettori che dipendono dal potente di turno nelle province, nelle fabbriche, negli ospedali, negli uffici; l’uso smodato dai media a vantaggio di Russia Unita; le restrizion­i alla campagna elettorale delle opposizion­i, guardate a vista, tutto questo farà in modo che il meccanismo assicuri la vittoria del sistema.

Che può contare anche sui partiti della cosiddetta opposizion­e “fedele”, dai comunisti ai populisti di Vladimir Zhirinovsk­ij, cooptati dal Cremlino come veicoli che assorbono la protesta antigovern­ativa pur restando leali; e sul ritorno al sistema elettorale misto, voluto per distribuir­e la metà dei 450 seggi della Duma in collegi uninominal­i dove si scommette sulla maggiore influenza, ancora una volta, dei candidati di Russia Unita. Tutto sembra sotto controllo: «Così strettamen­te – ironizza Khodorkovs­kij dal suo esilio in Svizzera – che non potrà passare neppure un topolino». Tra elezioni libere e un voto totalmente manipolato, il Cremlino potrebbe aver trovato la terza via.

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Il presidente. Vladimir Putin

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