Investimenti consapevoli
È lunga la lista di fallimenti, a partire da Liquigas, passando da Cirio per arrivare alle banche “risolte”
Se neanche i crack insegnano qualcosa
In principio fu Liquigas, l’azienda petrolchimica al centro di intrecci e traffici politici e finanziari siculomilanesi negli anni di piombo, messa in liquidazione nel 1980. Fu uno dei primi casi di mancato rimborso di obbligazioni, il porto sicuro nella percezione dei BoT-people. Una vicenda che non sembra aver lasciato traccia nell’immaginario dei risparmiatori tanto da farsi coinvolgere in tutti gli scandali che si sono via via succeduti. Dal default argentino, costato 900 milioni a 50mila risparmiatori; all’insolvenza da 1,12 mi- liardi della Cirio, in cui sono incappati 50mila piccoli investitori, complici anche le banche che non hanno avuto remore a piazzare titoli riservati invece agli istituzionali – e dunque troppo rischiosi per il pubblico indistinto. E ancora, in rapida sequenza, lo scandalo monstre di Parmalat: un buco da 14,3 miliardi che, a distanza di 13 anni è ancora il più grave d’Europa; coinvolti in quel caso 145mila piccoli risparmiatori. Fino ad arrivare al 2015 e alle quattro banche risolte lo scorso novembre: Banca Etruria, Banca delle Marche, CariFerrara e CariChieti: travolti nuovamente 10mila risparmiatori convinti da strategie di vendita molto aggressive che hanno contribuito a piazzato nelle loro tasche le rispettive obbligazioni subordinate.
In conclusione sembra che gli italiani non imparano dalle lezioni del passato.
Certo, la colpa non è solo loro. «Nel fallimento argentino per esempio – spiega Claudia Segre, presidente Global Thinking Foundation – fu complice il supporto offerto dal Fmi sino all’ultimo istante». Un concorso di colpa, in cui sono inclusi anche i collocatori allo sportello che spesso piazzano i prodotti guidati solo dalle commissioni retrocesse e non dalle esigenze del cliente. Il che, però, non assolve chi i prodotti li acquista e dovrebbe guardare ai suoi interessi con maggiore attenzione.
«L’industria finanziaria risorge dalle sue ceneri come l’araba fenice – afferma Roberta Rossi, responsabile della consulenza personalizzata di SoldiExpert – se oggi lo snake effect rende difficilissimo collocare bond subordinati, perché su quel tema siamo stati appena morsi dal serpente, basta cambiare vestito al prodotto, senza cambiarne la struttura, perché torni appetibile. Basterebbe leggere il prospetto informativo, certo, a patto di essere in grado di estrapolare concetti chiave da un testo lungo, cosa che il risparmiatore italiano - come di recente ha sottolineato anche la Consob - non sa fare. Senza considerare il problema dell’azzardo morale: proprio di chi accetta di sottoscrivere per esempio nuovi conti depositi, disinteressandosi della solidità della banca che li propone, allettati solo da uno zuccherino, che sia un volo aereo o un Ipad; perché alla fine c’è il Fondo di garanzia che ripara. Direi che nel complesso l’investitore è come un bambino, che vuole il massimo rendimento senza nessun rischio, che non esiste, anche se capita che lo promettano». Capita, ed è capitato, in particolare con l’implosione del debito subprime americano «rimpacchettato con un effetto globale di diffusioni di titoli che includevano un rischio del sottostante nascosto da rating fasulli – ricorda Segre – ed è stato allora che gli investitori italiani hanno iniziato a fare i conti con un aspetto di complessità nei prodotti finanziari sino ad allora sconosciuto».
Così, nel pieno di una crisi globale durata dal 2008 al 2013 e che aveva squarciato il velo del fallimento bancario con il caso Lehman (si veda l’intervista a pag. 24 sulle possibilità di ricorso ancora aperte, ndr), «lo spread italiano – prosegue Segre – nell’estate del 2011 si è trovato a trattare sul BTp a dieci anni quasi 6 punti in più rispetto al Bund tedesco. Ci sono voluti due anni e mezzo per tornare ai livelli di normalità». Ed eccoci a oggi, un’era di tassi negativi dove la remunerazione del conto corrente come rifugio all’incertezza non esiste più e si è persa anche la fiducia nel mattone, l’altra componente del risparmio italico: insomma gli investitori italiani escono da un vero e proprio percorso di sopravvivenza alle crisi che li lascia più inconsapevoli di prima.
Come se ne esce? «La strada per una diffusa educazione finanziaria – conclude Segre – si risolve con una corretta imposizione fiscale e con tutti gli attori del mercato impegnati a remare per fornire all’investitore finale un’informazione di base seria».