Soldi in testa
A caccia della mela tricolore
a petizione di principio a (quasi) ossessione. Il tema dell’investimento nell’economia reale occupa uno spazio crescente nel dibattito; le ragioni sono molteplici, gli obiettivi di tutta evidenza e di assoluto buon senso, mentre sul «come» le certezze sono davvero poche. Partiamo dalle prime: il risparmio degli italiani viene giustamente allocato – a parte BoT e BTp, peraltro in riduzione nei salvadanai di casa nostra – sui mercati internazionali. E giustamente, visto ciò che offre il mercato, tra cui scegliere il meglio. Direttamente o tramite strumenti di risparmio gestito come i fondi comuni o i fondi pensione. Si prendano questi ultimi: il titolo azionario più gettonato dagli strumenti di previdenza complementare italiani è Apple per complessivi 91 milioni di dollari; la cosa non stupisce, in termini di mera convenienza di breve. Investire in Apple è profittevole perché tra l’altro la stessa Apple – così come le altre grandi corporation Usa - acquista i propri titoli sostenendone i corsi borsistici, aumentando la capitalizzazione e acquisendo disponibilità finanziarie sempre maggiori, da investire nel proprio business.
La scelta di questi e altri istituzionali appare però meno nitida alla luce, tra l’altro, dell’inchiesta che vede l’azienda fondata da Steve Jobs accusata dalla Commissione Ue per aiuti di Stato in relazione alla fiscalità di gran vantaggio che l’Irlanda le ha concesso. Un vantaggio che corrisponde a uno svantaggio per le aziende concorrenti, tassate in misura più ingente. Investire nei «migliori» sui mercati globali, rischia di amplificare la prociclicità degli investimenti, a danno dei lavoratori delle aziende danneggiate da quella concorrenza fiscale. Trovare forme per correggere tale distorsione è un’esigenza condivisa. L’Esecutivo aveva messo a disposizione di fondi pensione e Casse 80 milioni annui, sotto forma di credito di imposta, per gli investimenti nell’«economia reale». In questo primo anno di entrata in vigore del provvedimenti solo 36 milioni sono stati utilizzati. Inoltre meno della metà degli stanziamenti delle Casse hanno trovato target di investimento e strumenti per indirizzare il risparmio all’economia reale. La domanda resta dunque il «come»: scoglio non da poco, su cui rischia di infrangersi ogni buona volontà di investitori a caccia di «mele» tricolori.