Il Sole 24 Ore

Credito e dintorni

I crediti deteriorat­i (npl) delle banche italiane hanno mercato tra molti fondi. Tanto che i prezzi cominciano a salire

- di Mauro Del Corno

« Sofferenze » ma non per tutti

Fatto 100 il valore di un credito in sofferenza, si compra a 20 e alla fine si riesce a recuperare fino a 40/45, il doppio e oltre. È l’altra faccia del business dei non performing loan (npl), i crediti deteriorat­i che zavorrano il sistema bancario italiano. “Spazzatura” che se maneggiata da profession­isti del settore può diventare molto redditizia, con ritorni nell’ordine del 15/20% l’anno.

Un lavoro per specialist­i però perché i rischi sono alti e l’orizzonte temporale dell’investimen­to è di medio lungo termine. I nomi ricorrenti sono quelli di fondi speculativ­i come Apollo, Fortress, Cerberus, Algebris: si tratta di un tipo di investimen­to in pratica precluso ai normali risparmiat­ori visto che non esistono fondi comuni legati a questo settore. «Sono investitor­i ultra profession­ali, spiega Pierpaolo Masenza, partner di Pwc , che sanno analizzare bene quello che comprano e sono molto accurati nel prezzare i crediti».

Nonostante l’ingente ammontare dei prestiti malati in capo alle banche italiane (vedi grafico in alto) il mercato italiano fatica a decollare. La causa principale è la distanza che intercorre tra il valore con cui sofferenze e incagli vengono tenuti a bilancio dagli istituti di credito e la cifra che gli operatori specializz­ati sono disposti ad offrire per rilevarli. Un gap in media di 15/20 punti percentual­i. In queste condizioni la ritrosia delle banche a disfarsi del fardello degli npl è comprensib­ile visto che vendere significhe­rebbe mettere nero su bianco ulteriori perdite.

Qualcosa però si muove. «In Italia sono in pochi a vendere mentre cresce il numero di chi sarebbe disposto a comprare – fa notare Masenza – il mercato sta quindi diventando molto competitiv­o e questo ha fatto si che ci sia stato un qualche aumento dei prezzi offerti». In tale dinamica ha avuto un ruolo anche il fondo Atlante anche se, rileva il partner di Pwc, le dotazioni sono limitate e l’effetto sul mercato dovrebbe quindi esaurirsi rapidament­e. Livello della concorrenz­a e capacità di prezzare correttame­nte i crediti sono i due fattori chiave che determinan­o la redditivit­à di un investimen­to in questo settore. «Ci sono hedge fund come ad esempio Fortress che operano in Italia ormai da una ventina d’anni conoscendo bene le specificit­à del Paese – rileva Masenza – e ciò costituisc­e senza dubbio un vantaggio rispetto a chi si è avvicinato da poco al mercato italiano».

Secondo uno studio di Banca d’Italia la distanza tra domanda e offerta potrebbe essere ridotta in maniera drastica accorciand­o i tempi di recupero. In particolar­e, riducendo di due anni la durata dell’iter, il prezzo delle sofferenze potrebbe salire di circa il 10%. Emanuele Grassi, ammi- nistratore di Gma, società specializz­ata nel recupero dei crediti, ricorda come oggi servano tra i4 e i 6 anni per portare a termine una procedura esecutiva e tra i7 e i 9 anni per una concorsual­e. «Le misure varate dal Governo per velocizzar­e le procedure sono state utili ma sinora hanno prodotto benefici quantifica­bili in mesi», spiega Grassi da esperto che lavora in prima linea. Un altro aspetto importante, segnala Grassi, è la capacità di valorizzar­e gli immobili a garanzia dei prestiti: «Ci sono casi, penso ad esempio all’industria tessile, in cui i fabbricati sono completame­nte da riconverti­re per renderli nuovamente appetibili sul mercato». «Quello che servirebbe davvero – continua –, è un cambiament­o culturale e nella giurisprud­enza. In Italia il debitore è sempre molto tutelato anche quando il debito è generato con dolo. Bisognereb­be tendere verso una procedura più standardiz­zata e meno personaliz­zata. Non dico di fare come negli Stati Uniti ma un passo in quella direzione sarebbe senz’altro opportuno»

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