Dietro i numeri
Le diverse direzioni del Jobs Act
Itesti di economia predicano con costanza che il benessere dipende dalla produttività. Se gli standard di vita devono migliorare, la produttività deve aumentare. Questa affermazione è vera nel lungo periodo, una volta che si sia stabilizzata la quota di occupati rispetto alla popolazione in età di lavoro. Ma, finché questo non succeda, il benessere può aumentare se aumenta il tasso di occupazione. E questa considerazione è specialmente pertinente per l’Italia, dato che nel nostro Paese il tasso di occupazione è molto basso nel confronto internazionale, specie per le donne, specie per il Sud, e massimamente per le giovani donne del Sud.
Il grafico mostra l’andamento di tre variabili negli ultimi quattro lustri: il Pil, gli occupati, e la produttività, cioè il Pil diviso per gli occupati. Questa definizione della produttività è la più aggregata possibile ma forse è anche la meno utile, a questo livello di aggregazione. Si dice spesso che la produttività dipende anche dal ciclo, nel senso che quando l’economia è debole la produttività soffre: il prodotto scende, ma le aziende sono caute nel ridurre la forza lavoro, perché potrebbero averne bisogno quando l’economia riprende. I primi tre lustri – dal 1996 al 2011 – sembrano confermare questa relazione: scende il tasso di crescita del Pil e scende il tasso di crescita della produttività. Nel quinquennio 2006-2011 tutti e tre i tassi di crescita vanno addirittura in negativo. Ma dal 2011 a oggi accade qualcosa di strano: la discesa del Pil accelera ma l’occupazione aumenta. Chiaramente, qualcosa di strutturale è cambiato. Sono cresciuti i settori ad alta intensità di lavoro e il Jobs Act ha incoraggiato le assunzioni.