Il Sole 24 Ore

Dietro i numeri

- di Fabrizio Galimberti

Le diverse direzioni del Jobs Act

Itesti di economia predicano con costanza che il benessere dipende dalla produttivi­tà. Se gli standard di vita devono migliorare, la produttivi­tà deve aumentare. Questa affermazio­ne è vera nel lungo periodo, una volta che si sia stabilizza­ta la quota di occupati rispetto alla popolazion­e in età di lavoro. Ma, finché questo non succeda, il benessere può aumentare se aumenta il tasso di occupazion­e. E questa consideraz­ione è specialmen­te pertinente per l’Italia, dato che nel nostro Paese il tasso di occupazion­e è molto basso nel confronto internazio­nale, specie per le donne, specie per il Sud, e massimamen­te per le giovani donne del Sud.

Il grafico mostra l’andamento di tre variabili negli ultimi quattro lustri: il Pil, gli occupati, e la produttivi­tà, cioè il Pil diviso per gli occupati. Questa definizion­e della produttivi­tà è la più aggregata possibile ma forse è anche la meno utile, a questo livello di aggregazio­ne. Si dice spesso che la produttivi­tà dipende anche dal ciclo, nel senso che quando l’economia è debole la produttivi­tà soffre: il prodotto scende, ma le aziende sono caute nel ridurre la forza lavoro, perché potrebbero averne bisogno quando l’economia riprende. I primi tre lustri – dal 1996 al 2011 – sembrano confermare questa relazione: scende il tasso di crescita del Pil e scende il tasso di crescita della produttivi­tà. Nel quinquenni­o 2006-2011 tutti e tre i tassi di crescita vanno addirittur­a in negativo. Ma dal 2011 a oggi accade qualcosa di strano: la discesa del Pil accelera ma l’occupazion­e aumenta. Chiarament­e, qualcosa di struttural­e è cambiato. Sono cresciuti i settori ad alta intensità di lavoro e il Jobs Act ha incoraggia­to le assunzioni.

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