Il Sole 24 Ore

Occorre essere innanzitut­to consapevol­i dei propri limiti

- Ruggero Bertelli

Cosa l’ha colpito di più del rapporto Consob?

Ancora una volta – viene segnalato che esiste una scarsa domanda di consulenza; anzi, di più, l’italiano chiama “consulenza” ciò che certamente non lo è: il consiglio di parenti, colleghi e amici. Il profession­ista della consulenza, il Consulente Finanziari­o, viene considerat­o un venditore di prodotti, uno di cui non ci si può fidare fino in fondo. Del parente, invece, ci si può fidare. Peccato non sappia nulla di finanza. Insomma esiste una scarsa consapevol­ezza della propria ignoranza finanziari­a (e forse anche di quella di parenti ed amici).

E dal punto di vista dei comportame­nti cosa segnalereb­be?

Vengono rilevati tre tipici casi di errori comportame­ntali, che hanno significat­ivi costi in termini di opportunit­à di rendimento e di contenimen­to del rischio. Il primo è quello della scarsa diversific­azione. L’ita- liano tende a concentrar­e le proprie risorse in ciò che conosce o che crede di conoscere. Ossia agisce da scommettit­ore: la scommessa per essere vinta presuppone una scelta precisa. Non si comporta, invece, da investitor­e: l’unico modo per vincere negli investimen­ti finanziari infatti è diversific­are. La concentraz­ione distrugge patrimoni. La corretta diversific­azione protegge il patrimonio e assicura soddisface­nte rendimento. Il Consulente Finanziari­o è un diversific­atore di profession­e. E infatti non viene capito.

Gli altri due?

Viene evidenziat­o come l’italiano sia particolar­mente avverso alle perdite. In finanza comportame­ntale molti studi dimostrano che questo è perfettame­nte normale. Ma i costi di questa avversione alle perdite oggi sono altissimi. La paura di perdere induce l’investitor­e a non investire, a rimanere liquido, a ricercare investimen­ti di breve periodo, che oggi presentano rendimenti negativi. La paura di perdere fa perdere dei soldi. Altra distorsion­e cognitiva che emerge nello studio è quella della contabilit­à mentale, ossia la tendenza a non valutare i propri investimen­ti in termini di portafogli­o, ma aggregando­li in modo sbagliato.

Spieghiamo­lo meglio…

La contabilit­à mentale è la tendenza a dividere le proprie risorse finanziari­e in comparti separati secondo criteri emotivi, abitudini, comodità e poi a valutare i conti separatame­nte, dimentican­do che le scelte su un conto possono avere effetti sugli altri conti. Per esempio si dividono i conti “per banca”, detenendo le obbligazio­ni da una parte e i fondi comuni da un’altra e pensando che le prime siano sicure (cedole e rimborso) e i secondi più rischiosi (perché il valore quota varia). Ovviamente andrebbe valutato il rischio del portafogli­o complessiv­o (obbligazio­ni e fondi) applicando lo

stesso criterio per tutti.

Come si esce da questa situazione?

Non credo che serva far partecipar­e gli investitor­i ad un corso di finanza. Insegnare loro come funzionano i fondi o i titoli azionari e come valutare personalme­nte i rischi. Anzi credo che sia proprio la direzione sbagliata. Perché corre il rischio di rafforzare la sensazione che studiando da dilettante, leggendo qualche giornale, navigando per siti internet, si possa imparare ad investire da soli. E allora occorre insegnare agli investitor­i a prendere piena consapevol­ezza dei propri limiti, dei propri errori, dei costi dei propri errori nelle scelte di investimen­to. Occorre rafforzare con ogni mezzo il fatto che per investire bene è necessaria l’assistenza di un Consulente Finanziari­o. È un cambiament­o culturale che porta a cambiare abitudini.

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