Lunga vita al private equit y
Family office e alcune private bank tornano a guardare con interesse a questa asset class
L’industria del private equity sta vivendo una nuova primavera, evolvendo verso modelli di business sempre più sofisticati fortemente orientati al cliente mediante l’organizzazione di club deal e l’affermazione del ruolo trasversale dei family office. «Il 28% delle acquisizioni condotte in Italia nel 2015 ha avuto come protagoniste pmi – ricorda Valter Conca, responsabile del Laboratorio Private Equity & Finanza per la crescita di Sda Bocconi School of Management –. Nello specifico, il 55% delle aziende target si è caratterizzato per un fatturato inferiore ai 50 milioni mentre un altro 25% si colloca tra i 50 e i 250 milioni. Questi dati si inseriscono in un contesto che vede, nonostante la contrazione strutturale del credito e le perduranti difficoltà macroeconomiche globali, la ripresa della fiducia da parte degli investitori verso questa tipologia di investimento. In tale contesto, club deal e family office rappresentano indubbiamente un’innovativa logica di approccio al mercato».
Secondo l’indagine condotta da Pe Lab di Sda Bocconi nel 2015 si sono chiuse 726 operazioni di M&A in Italia per un controvalore di 56,6 miliardi di euro (dai 55 miliardi su 619 deal del 2014). Di questo totale, 119 operazioni (il 16%) sono state condotte da fondi di private equity attraverso un investimento che si aggira attorno ai 3,8 miliardi (7% del totale contro il 10% nel 2014). «A questo proposito appare particolarmente sfidante il quadro relativo alle valutazioni – aggiunge Conca –, a fronte infatti di una crescita dei prezzi, le valutazioni si collocano intorno a 7,4 volte l’Ebitda (si arri- va anche a oltre 10 volte l’Ebitda specie con riferimento ai settori fashion e retail) rispetto alle 7 volte del 2014».
«In un contesto di bassi tassi di interessi e di difficile allocazione delle risorse verso strumenti che garantiscono buoni rendimenti – sottolinea Marco Piana, fondatore di Vam Investments – vediamo un forte interesse verso operazioni di private equity da parte di family office, espressione spesso di clienti con elevate disponibilità. Quello che però caratterizza questi soggetti è l’interesse a investire in aziende in cui hanno visibilità. Quindi, hanno un approccio molto diverso dalla clientela istituzionale. Spesso si tratta di imprenditori che hanno venduto la propria azienda ma hanno ancora un forte spirito imprenditoriale».
L’interesse verso investimenti decorrelati al mercato spinge i family office e, anche alcune divisioni di private banking, ad attrarre ora più che mai, personale con esperienza e talento nel campo del private equity e dell’investment banking per costituire dei propri team. Sull’atteggiamento di questo target di investitori concorda anche Vittorio Riccardi, fondatore di Accord Management che spiega come rispetto agli anni d’oro del private equity, vale a dire 2006 e 2007 «oggi l’approccio verso questa tipologia di asset class – puntualizza il manager – almeno da parte dei privati è decisamente cambiato. Non si compra più a scatola chiusa perché dopo il 2008 gli investitori si sono scoperti un pochino vulnerabili verso questo investimento poco liquido e molto rischioso. Oggi chi vuole fare operazioni in questo campo si rivolge principalmente a soggetti che hanno competenze industriali e finanziarie che garantiscano la maggiore visibilità possibile sui singoli deal. Quindi, rispetto all’investimento in un fondo che ha dentro tante partecipazioni si preferisce essere più selettivi». Come aggiunge Riccardi, chi cerca opportunità in questo campo guarda soprattutto ad aziende strutturate con una dimensione di fatturato non inferiore ai 20 milioni.