Il Sole 24 Ore

Orban-Kaczynski, la coppia che tiene in ostaggio la Ue

- Di Luca Veronese

La banda dei «ladri di cavalli» è nata dieci giorni fa a Krynica, nel sud della Polonia. È lì che per la prima volta Viktor Orban e Jaroslaw Kaczynski si sono fatti vedere assieme in pubblico. Ed è in questa cittadina dei Carpazi che il premier ungherese e il grande capo polacco hanno preparato l’attacco all’Unione europea. E se al vertice europeo di Bratislava di venerdì hanno usato toni tutto sommato morbidi, potrebbero presto diventare molto più aggressivi: contro la Commission­e Ue per ridare forza e autonomia ai governi nazionali. Se necessario tornando a chiedere di modificare i Trattati comunitari. A cominciare dalle regole sui migranti, una questione sulla quale - sono parole che vengono dai governi di Budapest e Varsavia - «si decide il futuro dell’Europa».

Un anno fa, mentre Angela Merkel apriva la Germania ai rifugiati, Orban faceva costruire dall’esercito un muro di filo spinato per bloccare i migranti al confine con la Serbia. Negli stessi giorni Kaczynski si preparava a riconquist­are il governo polacco in una campagna elettorale nella quale alimentava la paura per i migranti: «Portano malattie», «non vogliamo stranieri non cristiani nella nostra terra».

Il patto tra Orban e Kaczynski è nato così, per naturale simpatia oltre che su una visione condivisa del potere, della politica e della società. «Se ti fidi di qualcuno, diciamo in Ungheria, allora puoi andare con lui a rubare cavalli. E noi ungheresi andiamo con piacere a rubare cavalli assieme ai polacchi», ha spiegato Orban. Kaczynski ha voluto replicare: «Ci sono alcune stalle nelle quali possiamo rubare cavalli assieme agli ungheresi, una di queste, particolar­mente grande, si chiama Unione europea».

L’obiettivo, comune e dichiarato, è «l’Europa delle patrie» e Brexit - nella destra nazionalis­ta e populista - può servire a realizzare «una controrivo­luzione culturale» per rivedere totalmente le politiche decise a Bruxelles nell’ultimo decennio. Senza però toccare i miliardi di fondi struttural­i comunitari che hanno sostenuto l’economia dei Paesi dell’Est.

Orban, 53 anni - autoritari­o e carismatic­o - comanda in Ungheria dal 2010 e per Bruxelles è una costante preoccupaz­ione. Non perde occasione per prendersel­a con «i poteri forti e le multinazio­nali che vogliono comandare in casa d’altri». Ha risollevat­o l’economia del Paese ma la sua deriva autarchica, l’ha portato a scontrarsi con tutte le istituzion­i politiche e finanziari­e mondiali. Nel 1989, a soli 26 anni, Orban è già un capopopolo e agita la piazza di Budapest contro le truppe sovietiche ancora nel Paese. Nel 1998 diventa premier per la prima volta, due passaggi a vuoto non lo abbattono e sei anni fa arriva la grande rivincita: con il suo partito, il Fidesz, l’Alleanza dei giovani democratic­i, ottiene una schiaccian­te maggioranz­a in Parlamento con la quale poi riesce a cambiare la Costituzio­ne.

Kaczynski, 67 anni - schivo, quasi monacale nella vita quotidiana - è stato più volte premier e ministro. Ha condiviso per anni il potere con il fratello gemello Lech, morto da presidente in carica nel 2010 in un tragico incidente aereo, portando la Polonia su posizioni euroscetti­che e spesso contrappon­endosi all’azione comune della Ue. Cresce dentro a Solidarnos­c, poi prende le distanze da Lech Walesa fondando il partito Diritto e Giustizia. Messo all’angolo dai liberali di Donald Tusk (oggi presidente del Consiglio europeo), torna al potere lo scorso anno: il premier Beata Szydlo (come il presidente della Repubblica Andrzej Duda) è infatti una creatura del vecchio leader che rinuncia agli incarichi nelle istituzion­i ma tiene in mano il Paese. Il ritorno al passato della Polonia prende come modello l’Ungheria di Orban: ecco quindi, una dopo l’altra, una legge che mette i media sotto lo stretto controllo del governo, una controvers­a riforma della Corte Costituzio­nale, una serie di misure economiche contro le imprese straniere e contro le banche, per le quali si arriva a parlare di nazionaliz­zazione. Inevitabil­e, per quanto spuntata, la risposta dell’Unione europea che per la prima volta avvia una procedura sulla violazione dello stato di diritto contro un Paese membro (utilizzand­o proprio le norme introdotte in precedenza per frenare l’azione di Orban in Ungheria).

Sui migranti Orban e Kaczynski non intendono fare sconti, appoggiati, seppur con toni meno accesi, da Repubblica Ceca e Slovacchia, gli altri due Paesi del gruppo di Visegrad.

«L’arrivo dei migranti mette a rischio la nostra sicurezza e finirà per annullare la nostra identità culturale e storica», hanno affermato i due a Krynica, senza ricordare che i migranti nei loro Paesi sono poche migliaia e ancora meno sono i rifugiati di religione musulmana. «Le quote di ripartizio­ne nella Ue sono assurde», ripetono, e Orban già si prepara a trionfare il 2 ottobre, nel referendum che ha voluto per bocciare le proposte di Bruxelles.

«Nell’Unione continuano a prevalere le stesse politiche migratorie ingenue e autodistru­ttive di prima. Si parla più di accelerare la distribuzi­one dei rifugiati che di fermare i migranti ai confini di Schengen. Il vertice di Bratislava è stato un insuccesso, nulla è cambiato sull’immigrazio­ne», ha detto Orban due giorni fa. La scorriband­a dei due «ladri di cavalli» è solo rinviata.

L’EUROPA DELLE PATRIE Da Budapest e Varsavia totale chiusura alle quote Presto un nuovo attacco alla Commission­e per riconquist­are sovranità

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