Il doppio dilemma che continua a pesare sulle scelte dei mercati
Poi gli attacchi in Borsa sui titoli delle banche - il trend dominante di quest’anno - , i flussi migratori, il terrorismo, il Pil che arranca, l’inflazione che non sale, Grexit e in ultimo Brexit.
Alla domanda ricorrente sui mercati fin dal 1999, « ce la farà l’euro a sopravvivere » , le risposte delle istituzioni e degli Stati membri dell’Unione monetaria continuano ad andare nel senso unico del “sì” ma non sono convincenti al punto da cancellare in via definitiva il timore della disgregazione. Una conferenza stampa doppia come quella di Bratislava, a neanche tre mesi dal referendum che porterà il Regno Unito fuori dall’Unione europea, ha ricordato ai mercati che ancora oggi si trovano di fronte a un bivio che complica non poco le scelte di portafoglio: alla luce di Brexit non è chiaro se gli Stati europei marceranno più uniti e integrati ( con politiche fiscali più morbide dove esistono spazi di manovra maggiori per compensare l’accelerazione delle riforme strutturali nei Paesi che crescono meno, e con la velocizzazione dell’Unione bancaria e del mercato dei capitali unico) o se invece le divergenze tra nazioni si accentueranno ( l’ascesa del populismo e dei partiti anti- euro è sintomo di questa deriva).
Questi interrogativi sono ansiogeni ma non alimentano per ora ansia: piuttosto rafforzano le attese di un’estensione temporale e un ampliamento in raggio di azione delle misure non convenzionali della politica monetaria della Bce. Insomma, dove la politica fallisce, la banca centrale supplisce. Sebbene lo stock dei titoli di Stato tedeschi con rendimento negativo sotto la soglia di - 0,40% delle deposit facilities si sia ridotto negli ultimi giorni, allentando l’allarme sulla scarsità dei bond acquistabili dalla Bce, la lentezza delle soluzioni politiche ai problemi dell’Europa abbinata a un andamento dell’inflazione deludente imporranno il potenziamento del QE di Francoforte. Con esiti non scontati. Llewellyn Consulting, nella sua ultima analisi dedicata all’euro, sottolinea come la politica monetaria con taglia unica non calzi affatto per accomodare le diversità tra gli Stati nell’area dell’euro: in base al Taylor rule, i tassi dovrebbero essere più bassi del 5% ( per esempio in Grecia) o più alti del 4% ( per esempio in Irlanda). Llc conclude che « con politiche fiscali e strutturali imperfette, la sostenibilità dell’euro continuerà ad essere messa in discussione » .
Non è soltanto l’Europa, tra l’altro, ad essere inadempiente in tal senso: in Giappone i mercati non escludono che la BoJ possa abbassare i tassi in terreno ancor di più negativo mentre per quanto riguarda gli Usa, l’avvio di una politica monetaria restrittiva vecchio stile ( come quella pre- crisi subprime) sembra lontano: la Bnp Paribas pronostica un possibile aumento dei tassi dalla Federal Reserve la prossima settimana ma lo definisce un “dovish hike” ( rialzo accomodante). A tutto questo si aggiunge l’imponderabile complicazione del rischio politico: quest’anno oltre a Brexit, le elezioni prima spagnole e poi americane con i loro continui colpi di scena, è sotto osservazione anche l’Italia con il referendum sulla riforma costituzionale che lascia i mercati di fronte a un altro bivio, senza lumi - per ora - su cosa esattamente accadrà al Governo e al cammino delle riforme strutturali nel caso di un “sì” oppure di un “no”.o .