Il Sole 24 Ore

In difesa dei diritti all’anonimato

L’Fbi tornerà a “discutere” di iPhone a novembre dopo le elezioni americane. Ecco come sono c ambi ate le minacce per le imprese

- di Luca Tremolada

a Aspettano novembre, dopo l'elezione del presidente degli Stati Uniti, quando le acque si saranno calmate e le coscienze assopite e solo allora torneranno alla carica per ottenere finalmente una «discussion­e adulta» sulla crittograf­ia. Loro sono l'Fbi. Per descrivere il confronto iniziato con Apple (e proseguito con mezza Silicon Valley) sulla protezione dati contenuti in telefonini e dispostivi mobili hanno addirittur­a coniato una espression­e che sintetizza bene il disagio che stanno vivendo: “Going Dark”. «Non parlerei di back door (cioè una porta di accesso che consente di superare le procedure di sicurezza nell'iPhone ndr), mi limiterei a ricordare che il nostro compito è e resta quello di proteggere la sicurezza dei cittadini. Non di spiarli». Lui si chiama Timothy J. Wallach, è un agente speciale della Cyber Force del Federal Bureau of Investigat­ion: mascella rigida, camicia bianca stirata e nello sguardo la certezza di avere intorno persone che non lo capiscono. Lo incontro in un hotel di Londra a CloudSec l'evento di Trend Micro per esperti di sicurezza informatic­a. «Come finirà questa storia? Non ho la sfera di cristallo ma ricordo che abbiamo accordi non solo con Apple ma con tutti i produttori di elettronic­a (come dire, siamo in buoni rapporti ndr). Si tratterà quindi di bilanciare il diritto alla privacy e quindi gli interessi aziende che vogliono proteggere i propri clienti e le prerogativ­e dell'attività investigat­iva».

Wallach sembra ottimista ma i “bad guy” che usano la crittograf­ia per comunicare sono diventati troppi da controllar­e. In dieci mesi agli uffici del Bureau sono stati consegnati dalle autorità giudiziari­a 5mila apparecchi elettronic­i. Solo 650, meno di un quinto, per ammissione della stessa Fbi, sono stati “aperti”. Secondo l'agente “là fuori”, dietro le tastiere e dentro le aziende ci sono sei gruppi principali e fonti di minacce: gli attivisti hacker come Anonymous o Lizard Squad; le organizzaz­ioni di cybercrimi­nali che lavorano per il profitto e che usano malware, ransomware, exploit mettendo in atto estorsioni, furti di identità o commercio di password; coloro che dall'interno per negligenza o per dolo consentono di “hackerare” una struttura; la bande che si occupano di spionaggio industrial­e o furto di proprietà intellettu­ale; i terroristi veri e propri che operano in rete; e infine le squadre governativ­e all'interno delle intelligen­ce straniere. Le due più grandi minacce, ha sottolinea­to, sono i criminali informatic­i e chi si occupa di cyberspion­aggio. Non gli attivisti. Anzi, quello che preoccupa di più gli esperti di sicurezza è la cortina fumogena che circonda oggi tutto le aziende e i privati oggetto di frodi informatic­he.

A sentire loro esisterebb­e un prima e un do- po. L'epoca dei virus, dei furti di identità e delle violazioni e il tempo del ransomware, dell'economia ombra del Dark web (si legga l'articolo a fianco) degli strumenti di hacking a buon mercato e in valuta bitcoin.

Nel nuovo report di Trend Micro che sarà diffuso domani i ransomware, i sequestri con richiesta di riscatto, sono cresciuti del 172% e le perdite causate dalle truffe business email compromise sono arrivate a 3 miliardi di dollari. In Italia nei primi sei mesi dell'anno sono stati identifica­ti 2.689 malware per l'online banking e 3.667.384 ransomware. In termini economici questi ultimi, assicura Rik Ferguson, sono la minaccia più pericolosa. Capelli lunghi, tatuaggi (nella foto) Rick sembra ma non è un hacker. Il suo biglietto da visita lo identifica come vice presidente della ricerca e sviluppo di Trend Micro. «Prendono possesso del tuo sistema informatic­o, lo rendono illeggibil­e attraverso sistemi di crittograf­ia e a quel punto hai meno di un giorno per pagare un riscatto in Bitcoin o moneta elettronic­a. Senza peraltro avere la certezza di tornare in possesso dei tuoi sistemi». Il caso più eclatante è di tre ospedali (due in California e uno nel in Kentucky) che a marzo sono stati costretti a tornare ai fogli e alle penne a causa di un estorsione online. Sull'Italia non c'è casistica perché le aziende da noi non sono obbligate a denunciare le frodi informatic­he (cambierà tutto con la nuova normativa europea sulla privacy).

«Il mondo non è cambiato - sostiene Rick -. La vulnerabil­ità è nei software progettati male tanto quanto nelle persone chiamate a gestire processi o in chi è un terminale finale, l'accesso a un sistema informatic­o». Sullo sfondo dell'affaire Apple vs l'Fbi non c'è quindi solo il trade off tra privacy e sicurezza ma l'idea che le tecnologie possano e debbano essere possedute. Anzi acquistate. Un esempio? In-Q-Tel, società di venture capital della Virginia sostenuta dalla Central Intelligen­ce Agency (Cia) non ha come missione il profitto ma la ricerca tecnologic­a. Investe in moltissimi campi e startup. Per quali fini non è chiaro. Il suono del nome è ad oggi il miglior spot al diritto all'anonimato

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Rik Ferguson. Vice presidente della ricerca e sviluppo di Trend Micro

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