Il copyright del nuovo millennio
I diritti sugli snippet piacciono agli editori. Ma squilibrano l’ecosistema
Il processo di modernizzazione del diritto di autore entra in una nuova fase. Il 14 settembre la Commissione europea ha infatti pubblicato un pacchetto di misure con le quali intende proseguire il percorso segnato dalla Digital Single Market Strategy per proiettare la disciplina autoriale nel nuovo millennio.
Le direttrici a cui si ispira la riforma sono essenzialmente tre: consentire una più equa compartecipazione alla catena del valore, adattare il sistema delle eccezioni al mondo digitale e assicurare l”effettivita” del copyright nell'Unione dell'innovazione. Ciascuna di queste linee poggia su una pretesa legittima, e tutte e tre esprimono il tentativo di rinnovare il sistema dall'“interno” per adattarlo alle sollecitazioni “esterne”, disruptive, della realtà virtuale. In tale cornice si inserisce la proposta della Commissione di introdurre un nuovo diritto che consentaagli editori online di ottenere un compenso per ogni forma di ri-utilizzo di snippets (brevi estratti di articoli di giornale) e collegamenti ipertestuali (link). In sostanza, attraverso l’ancillary copyright gli editori saranno messi in condizione di partecipare ai ricavi ottenuti dagli aggregatori di contenuti digitali, finora utilizzati e talvolta rielaborati, senza pagare alcunché a chi quei contenuti li ha creati e pubblicati in rete.
Certo, alla base dell'istanza protezionistica sono ravvisabili, da un lato, una com- prensibile rivendicazione di tipo economico e dall'altro, una legittima esigenza di politica legislativa.
Con la rapida e sostanziale modifica della modalità di fruizione dei contenuti culturali tout court, nonché con la relativa, sempre più critica, distribuzione dei compensi, si è infatti assistito a un considerevole incremento dell'offerta di contenuti, alla moltiplicazione delle relative modalità di fruizione e alla emersione di nuovi importanti operatori digitali nel mercato.
A tali cambiamenti non è però corrisposto l'adeguamento, né la modernizzazione, dei corrispondenti modelli di business da parte di diversi settori dell'industria dei contenuti. Per rimediare a tale impasse si sono andate delineando soluzioni diverse - ora orientate al modello regolatorio ( come in Germania e in Spagna), ora rivolte a una scelta negoziale (come in Italia), che, proponendo schemi tra loro difformi, non stanno favorendo il consolidamento dell'Unione digitale e a tratti sollevano profili concorrenziali. In questo quadro, vanno certamente condivise le misure europee e nazionali che puntano a scongiurare forme di appropriazione indebita, intercettare le violazioni dei diritti e individuare soluzioni coerenti e uniformi a livello europeo.
Tuttavia, la strada proposta dalla Commissione sembra troppo stretta. I lineamenti del nuovo diritto sono privi di clausole di salvaguardia e anticorpi concorrenziali, e soprattutto non sono facilmente riconducibili alla geometria dei diritti connessi, col rischio innanzitutto di gravare ingiustificatamente i contenuti che viaggiano sulla rete di un ulteriore “orpello”, rallentare in maniera eccessiva la circolazione delle informazioni presenti sul web, limitare le attività di ricerca degli utenti che utilizzano aggregatori digitali (Google News, Pinterest, Huffington Post) e social network ( Fa- cebook, Twitter), e in ultima analisi comprimere la libertà di informazione e di essere informati, la libertà di insegnamento, la ricerca scientifica e il progresso culturale.
Anche in termini di impatto di mercato, la proposta non è pienamente soddisfacente se si guarda all'esperienza maturata in altri contesti che partecipano delle stesse spinte e tensioni. Nell'industria discografica, infatti, analoghe misure hanno sancito il fallimento nella gestione delle riproduzioni non autorizzate di contenuti protetti almeno sotto due profili: 1) costi elevati per aventi diritto e intermediari nella individuazione e gestione delle richieste di rimozione, 2) lungaggini procedurali per l'ottenimento degli oscuramenti dei collegamenti non autorizzati.
Infine, dal punto di vista degli stakeholders, non è pacifica la sostenibilità del nuovo diritto, che rischia di danneggiare tutti gli attori dell'ecosistema delle news, ulteriormente squilibrando il rapporto autorieditori con rilevanti ripercussioni sul prezzo a danno dei consumatori.
All'indomani della pubblicazione del pacchetto, insomma, non è facile prevedere se e in che misura Parlamento e Consiglio europeo saranno in grado di resistere alle rivendicazioni dell'industria culturale, accolte prima facie dalla Commissione, per mantenere una coerenza e una legittimazione sistematica. È certo però che sull'ancillary copyright si gioca una partita che non si può perdere: quella che definisce la cornice dei diritti fondamentali da salvaguardare nella rete, e che bilancia i pesi e i contrappesi del sistema per garantire la legittima protezione di autori ed editori senza prestare il fianco a una sterile quanto dannosa deriva iper- protezionistica.