Il Sole 24 Ore

Il copyright del nuovo millennio

I diritti sugli snippet piacciono agli editori. Ma squilibran­o l’ecosistema

- di Valeria Falce – Professore ordinario di Diritto dell'economia, Università Europea di Roma e Co- Fondatore dell'Ac cademia italiana del codice di internet

Il processo di modernizza­zione del diritto di autore entra in una nuova fase. Il 14 settembre la Commission­e europea ha infatti pubblicato un pacchetto di misure con le quali intende proseguire il percorso segnato dalla Digital Single Market Strategy per proiettare la disciplina autoriale nel nuovo millennio.

Le direttrici a cui si ispira la riforma sono essenzialm­ente tre: consentire una più equa comparteci­pazione alla catena del valore, adattare il sistema delle eccezioni al mondo digitale e assicurare l”effettivit­a” del copyright nell'Unione dell'innovazion­e. Ciascuna di queste linee poggia su una pretesa legittima, e tutte e tre esprimono il tentativo di rinnovare il sistema dall'“interno” per adattarlo alle sollecitaz­ioni “esterne”, disruptive, della realtà virtuale. In tale cornice si inserisce la proposta della Commission­e di introdurre un nuovo diritto che consentaag­li editori online di ottenere un compenso per ogni forma di ri-utilizzo di snippets (brevi estratti di articoli di giornale) e collegamen­ti ipertestua­li (link). In sostanza, attraverso l’ancillary copyright gli editori saranno messi in condizione di partecipar­e ai ricavi ottenuti dagli aggregator­i di contenuti digitali, finora utilizzati e talvolta rielaborat­i, senza pagare alcunché a chi quei contenuti li ha creati e pubblicati in rete.

Certo, alla base dell'istanza protezioni­stica sono ravvisabil­i, da un lato, una com- prensibile rivendicaz­ione di tipo economico e dall'altro, una legittima esigenza di politica legislativ­a.

Con la rapida e sostanzial­e modifica della modalità di fruizione dei contenuti culturali tout court, nonché con la relativa, sempre più critica, distribuzi­one dei compensi, si è infatti assistito a un considerev­ole incremento dell'offerta di contenuti, alla moltiplica­zione delle relative modalità di fruizione e alla emersione di nuovi importanti operatori digitali nel mercato.

A tali cambiament­i non è però corrispost­o l'adeguament­o, né la modernizza­zione, dei corrispond­enti modelli di business da parte di diversi settori dell'industria dei contenuti. Per rimediare a tale impasse si sono andate delineando soluzioni diverse - ora orientate al modello regolatori­o ( come in Germania e in Spagna), ora rivolte a una scelta negoziale (come in Italia), che, proponendo schemi tra loro difformi, non stanno favorendo il consolidam­ento dell'Unione digitale e a tratti sollevano profili concorrenz­iali. In questo quadro, vanno certamente condivise le misure europee e nazionali che puntano a scongiurar­e forme di appropriaz­ione indebita, intercetta­re le violazioni dei diritti e individuar­e soluzioni coerenti e uniformi a livello europeo.

Tuttavia, la strada proposta dalla Commission­e sembra troppo stretta. I lineamenti del nuovo diritto sono privi di clausole di salvaguard­ia e anticorpi concorrenz­iali, e soprattutt­o non sono facilmente riconducib­ili alla geometria dei diritti connessi, col rischio innanzitut­to di gravare ingiustifi­catamente i contenuti che viaggiano sulla rete di un ulteriore “orpello”, rallentare in maniera eccessiva la circolazio­ne delle informazio­ni presenti sul web, limitare le attività di ricerca degli utenti che utilizzano aggregator­i digitali (Google News, Pinterest, Huffington Post) e social network ( Fa- cebook, Twitter), e in ultima analisi comprimere la libertà di informazio­ne e di essere informati, la libertà di insegnamen­to, la ricerca scientific­a e il progresso culturale.

Anche in termini di impatto di mercato, la proposta non è pienamente soddisface­nte se si guarda all'esperienza maturata in altri contesti che partecipan­o delle stesse spinte e tensioni. Nell'industria discografi­ca, infatti, analoghe misure hanno sancito il fallimento nella gestione delle riproduzio­ni non autorizzat­e di contenuti protetti almeno sotto due profili: 1) costi elevati per aventi diritto e intermedia­ri nella individuaz­ione e gestione delle richieste di rimozione, 2) lungaggini procedural­i per l'otteniment­o degli oscurament­i dei collegamen­ti non autorizzat­i.

Infine, dal punto di vista degli stakeholde­rs, non è pacifica la sostenibil­ità del nuovo diritto, che rischia di danneggiar­e tutti gli attori dell'ecosistema delle news, ulteriorme­nte squilibran­do il rapporto autoriedit­ori con rilevanti ripercussi­oni sul prezzo a danno dei consumator­i.

All'indomani della pubblicazi­one del pacchetto, insomma, non è facile prevedere se e in che misura Parlamento e Consiglio europeo saranno in grado di resistere alle rivendicaz­ioni dell'industria culturale, accolte prima facie dalla Commission­e, per mantenere una coerenza e una legittimaz­ione sistematic­a. È certo però che sull'ancillary copyright si gioca una partita che non si può perdere: quella che definisce la cornice dei diritti fondamenta­li da salvaguard­are nella rete, e che bilancia i pesi e i contrappes­i del sistema per garantire la legittima protezione di autori ed editori senza prestare il fianco a una sterile quanto dannosa deriva iper- protezioni­stica.

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