Il Sole 24 Ore

Dove sono finiti gli eroi che guardano le finestre di Dio?

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Estratti da «La Lentezza», di Milan Kundera, tradotto da Ena Marchi.

«Ciè venuta voglia di passare la serata e la notte in un castello. In Francia, molti sono stati trasformat­i in alberghi: un fazzoletto di verde sperduto in una distesa di squallore senza verde; un quadratino di viali, alberi, uccelli al centro di una immensa rete di strade. Sono al volante e osservo, nello specchiett­o retrovisor­e, una macchina dietro di me. La freccia di sinistra lampeggia e tutta la macchina emette onde di impazienza. Il guidatore aspetta il momento giusto per superarmi; spia questo momento come un rapace che fa la posta a un passero.

Mi moglie Vera mi dice: «Sulle strade francesi ogni cinquanta minuti muore un uomo. Guardali tutti questi pazzi che corrono accanto a noi. Sono gli stessi che sanno essere così straordina­riamente prudenti quando sotto i loro occhi viene scippata una vecchietta. Com'è possibile che quando guidano non abbiano paura?».

Che cosa rispondere? Questo, forse: che l'uomo curvo sulla sua motociclet­ta è tutto concentrat­o sull'attimo presente del suo volo; egli si aggrappa ad un frammento di tempo scisso dal passato come dal futuro; si è sottratto alla continuità del tempo; è fuori del tempo; in altre parole, è in uno stato di estasi; in tale stato non sa niente della sua età, niente di sua moglie, niente dei suoi figli, niente dei suoi guai, e di conseguenz­a non ha paura, poiché l'origine della paura è nel futuro, e chi si è affrancato dal futuro non ha più nulla da temere. La velocità è la forma di estasi che la rivoluzion­e tecnologic­a ha regalato all'uomo. A differenza del motociclis­ta, l'uomo che corre a piedi è sempre presente al proprio corpo, costretto com'è a pensare continuame­nte alle vesciche, all'affanno; quando corre avverte il proprio peso e la propria età, ed è più che mai consapevol­e di se stesso e del tempo della sua vita. Ma quando l'uomo delega il potere di produrre velocità a una macchina, allora tutto cambia: il suo corpo è fuori gioco, e la velocità a cui si abbandona è incorporea, immaterial­e – velocità pura in sé e per sé, velocità-estasi.

... Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorn­o di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendat­i delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all'altro e dormono sotto le stelle? Sono scomparsi insieme ai sentieri tra i campi, insieme ai prati e alle radure, insieme alla natura? Un proverbio ceco definisce il loro placido ozio con una metafora: essi contemplan­o le finestre del buon Dio. Chi contempla le finestre del buon Dio non si annoia; è felice. Nel nostro mondo, l'ozio è diventato inattività, che è tutt'altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costanteme­nte alla ricerca del movimento che gli manca».

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