«Chanw uy» per temprare mente e corpo
Negli edifici sacri, incastonati nel monte Songshan, si pratica l’antica meditazione. Un’oasi nella Cina votata al dio denaro
Si ha la sensazione di trovarsi in un nido d’aquila, come sospesi sugli abissi del monte Songshan. Il monastero buddhista chan Sanhuangzhai, risorto di recente dopo secoli di abbandono, si presenta come un interessante modello architettonico posizionato in uno dei paesaggi più suggestivi e culturalmente pregnanti della Cina.
Non mi riferisco a strutture antiche correttamente restaurate, poiché quelle furono consumate e distrutte nel passato. Piuttosto a una costruzione inaugurata di recente e fortemente ispirata a quel poco che si conosce dell’architettura dei Wei Settentrionali (386-534), grandi patroni e diffusori del buddhismo. Il risultato è un piccolo, armonico complesso concluso composto da una dozzina di edifici sacri incastonati a più livelli nel fianco della roccia viva di quest’aspra montagna.
La presenza umana nel cuore di quella natura forte e austera si fa sentire, pietra nella pietra, con delicatezza e rispetto per l’ambiente, per il divino e per l’uomo stesso. Sono del tutto assenti i colori falsi e squillanti con cui di frequente si recuperano oggi in Cina edifici storici e religiosi, avvolti da pesanti laccature sintetiche che fanno tanto “ristorante cantonese” di basso livello. Qui ci si muove fra tonalità di grigi su grigi, beige e avori, talché si ricava l’impressione di essere immersi in una pittura vivente di paesaggio con sfumature di inchiostro monocromo di ampio respiro e leggerezza. Il nido d’aquila trasmette una sensazione di grande pace e serenità invece che di asprezza o severità.
È un’opera urbanistica e architettonica contemporanea, pur di taglio arcaico, che manifesta un approccio filosofico-religioso piuttosto che filologico ed è creazione di shi (maestro) Dejian, rifondatore e maestro di questa struttura il cui profilo religioso è stato sostituito da una veste di fondazione culturale: la Chanwuyi Foundation. A Dejian, uno dei principali “monaci guerrieri” del celebre tempio Shaolin, nel 1993 fu comandato dall’abate Suxi (19242006) di trasferirsi a vivere a Sanhuangzhai quand’esso non constava che di una misera capanna in mezzo a un gruppo di rovine. Il compito era di impiegare tutte le sue energie nel recupero dello spirito del chanwuyi che nel santuario madre si era ormai inesorabilmente perduto.
Una vita dura e di isolamento ch’egli accettò di buon grado forse anche perché lo fece sentire vicino alle condizioni vissute dai grandi maestri del passato, da Bodhidharma (480 ca - 540 ca) a Hui Neng (638-713) a Wu Gulun (att. 1870-1900). In tal modo egli, in origine destinato a guidare e rinnovare il grande complesso di Shaolin, si trovò a trascorrere gli anni del trionfo commerciale dello stesso a rafforzarsi e ad approfondire il chanwuyi in condizioni ambientali proibitive. Oggi Sanhuangzhai è probabilmente l’unico luogo della Cina dove si pratichi ancora il vero chanwuyi, anche se non sono pochi a dichiarare di possederne l’arte.
Il luogo è frequentabile solo dietro invito specifico; impensabile farsi accogliere senza preparazione e presentazione adeguate. I pochi allievi so-
| Il monastero Sanhuangzhai e, in alto a destra, l’abate Dejian Marco Carminati ( caposervizio), Lara Ricci (vicecaposervizio). Redattori: Francesca Barbiero, no inflessibilmente selezionati come a suo tempo lo fu shi Dejian medesimo. Gli edifici sono frutto di impegno devozionale, oltre che di sostegno economico dei fedeli: il materiale fu trasportato a spalla dallo sparuto, ma devoto gruppo di adepti lungo l’angusta, ripidissima e lunga scala di accesso al monastero con oltre duemila gradini.
Il chanwuyi è una disciplina complessa sviluppata nei secoli da maestri e monaci e implica un sistema coerente e completo di sviluppo dell’uomo attraverso educazione di corpo, emozioni e mente. Quella del corpo, inseparabile dalle altre due, è affidata a esercizi di armonia dei movimenti e alle dure pratiche del combattimento corpo a corpo: il celebre kungfu di Shaolin (wu), nonché alla pratica della medicina cinese classica (yi) modificata e soprattutto basata sulla fitoterapia. L’educazione della mente e delle emozioni è perseguita con la meditazione, resa in cinese col termine chan,o in giapponese col più noto zen, entrambi derivati dal sanscrito dhyana.
«Oggi – spiega Dejian – le persone vivono sotto pressione costante, ciò rende difficile mantenere calma la mente. Inoltre gli esseri umani tendono a essere avidi e perseguono la fama e il successo consumandosi oltremodo. Desideri e brame pro-
Stefano Biolchini ( online) ducono delusioni, tormenti, ansie e rabbia. Avidità, rabbia e brama causano a loro volta avversità e affaticamento. Attraverso la meditazione si può comprendere l’effetto dannoso delle passioni sulla nostra salute fisica e psicologica, come pure sull’armonia in famiglia e nella società».
Perché l’antico Shaolin avrebbe perso lo spirito della sua tradizione? Si tratta di una situazione complessa frutto delle convenzioni politiche e sociali, e non solo in Cina. Basti pensare all’idolatria di denaro e consumo ovunque imperversante. Certo la tradizione raffinata e intensa di spiritualità, attenta alla cura del corpo e della mente, è svanita come neve al sole del nuovo bruciante consumismo. Fiorisce soprattutto il mito del kungfu di Shaolin che, lanciato dal film Il tempio Shaolin di Zhang Xinyan nel 1982 con un debuttante Jet Li, è dilagato per ogni dove fornendo esempi di violenza e belligeranza invece che della calma e ascoltazione interiore indispensabili nel chan.
A Shaolin lo spirito religioso è stato in gran parte sostituito dalla via dell’imprenditorialità e dell’accumulo di denaro. Alcuni mesi fa fece gran scalpore il volo dell’attuale abate, shi Yongxin, a Shoalhaven in Australia per acquistare, assegno alla mano, un terreno per tre milioni di dollari. Scopo dichiarato: realizzare un resort di lusso al costo previsto di circa trecento milioni di dollari con diverse centinaia di posti letto, villette, campi di golf e diffondere così lo spirito di Shaolin.
Di fronte allo spregio per la tradizione più antica e profonda e al rutilare di colori stonati studiati per attrarre un pubblico sempre meno qualificato e desideroso di divertimento facile, di fronte a tutto il denaro e il potere di cui Shaolin oggi dispone, Dejian, nel suo piccolo complesso para-monastico arroccato su un bastione del Songshan, con l’integrità delle sue discipline e la sua conoscenza e pratica del chanwuyi svetta spiritualmente e coltiva in silenzio i valori dello spirito e dell’uomo.