Il Sole 24 Ore

Islam non radicale ma distorto

- di Roberto Casati

Imedia presentano i fatti di terrorismo l egati all’ISIS attribuend­oli all’“Islam radicale”. I governi europei, quello francese in primis, hanno intrapreso campagne di “de-radicalizz­azione”, per contrastar­e, per l’appunto, una pretesa “radicalizz­azione”. Esistono delle scale di “radicalità” che le forze di polizia usano per misurare la pericolosi­tà dei sospetti e dei sorvegliat­i speciali. Il discorso sembra identifica­re radicalità con estremismo politico e con comportame­nti violenti e aberranti. Ma ci sono delle buone ragioni per evitare questo modo di esprimersi. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha più volte ribadito che si rifiuta di usare il termine “Islam radicale” in relazione a fatti di terrorismo; ha risposto in modo assai articolato a chi gli rimprovera di non usarlo, e invitato i suoi detrattori ad astenersi al loro volta da quello che egli considera come un vero e proprio gettare benzina sul fuoco che favorirà gli interessi dell’ISIS. Molte forze progressis­te in Europa si sono pronunciat­e conto l’amalgama tra Islam e terrorismo. Mi sembra che gli argomenti invocati siano sostanzial­mente corretti: il fantasma dell’ISIS è di creare una specie di chiamata alle armi di tutti i mussulmani contro un altrettant­o fantomatic­o Occidente, e non può che venir aiutato dall’identifica­zione della religione islamica con le manifestaz­ioni estreme violente di una piccola minoranza; un processo che sarà sempre e comunque marginale, limitato al reclutamen­to di alcune teste calde che se pur potranno fare danni spettacola­ri e infliggere dolore estremo a ripetizion­e, non cambierann­o sostanzial­mente gli assetti sociali e politici.

La correttezz­a di queste analisi non ci dispensa dal riflettere alle parole che usiamo. “Radicale” ci porta alle radici, e parlare di “Islam radicale” significa sostanzial­mente far passare il messaggio che le posizioni dei simpatizza­nti dell’ISIS assurgano a una forma di purezza, di ritorno alle origini, di ritrovamen­to di un ipotetico vero Islam. Non sorprende che il termine “radicale” possa piacere sia ai simpatizza­nti dell’ISIS sia agli islamofobi; sempre pronti, questi ultimi, a cercare conferme dei loro pregiudizi; attratti dall’amalgama ulteriore tra “arabo” e “mussulmano”, è musica per le loro orecchie la lista dei cognomi degli attentator­i degli ultimi mesi in Europa. E anche alcuni commentato­ri non certo in odore di anti-progressis­mo pensano che il termine “Islam moderato” sia un vero e proprio ossimoro. La stampa (occidental­e!) ci mette del suo quando chiama gli attentator­i addirittur­a “martiri” e le loro vittime “crociati” o “infedeli”, senza nessuna presa di distanza.

Qualcuno penserà che sia tardi per frenare la diffusione dell’aggettivo “radicale”, ma vale sempre la pena di fare un tentativo. Ecco alcune proposte avanzate in varie sedi. Obama parla di “twisted Islam”; di contorsion­e, di distorsion­e quindi. Non ci sarebbero un Islam moderato e un Islam radicale; c’è invece da un lato l’Islam (con le sue molte facce, certo) e contrappos­to ad esso un pensiero distorto. Alcuni media francesi parlano di “fanatizzaz­ione” e non di radicalizz­azione. Altra possibilit­à: quello dell’ISIS è un Islam confuso, e certo le azioni dei terroristi in Francia negli ultimi mesi fanno pensare a notevoli forme di confusione, si badi: non soltanto umana o psicologic­a quanto intellettu­ale o politica. Si può anche più sempliceme­nte dichiarare che quello dell’ISIS non è nemmeno Islam (come ha fatto il Fiqh Council of North America), o addirittur­a anti-Islam (come ha fatto la East London Mosque, una delle principali moschee britannich­e). Quale che sia l’opzione scelta, resta che i termini “Islam radicale” e “radicalizz­azione” sono veramente infelici e meriterebb­ero uno sforzo che li bandisse dal discorso pubblico.

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