Il Sole 24 Ore

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- Guido Tonelli

a fisica sta vivendo un momento magico. In un intervallo di tempo relativame­nte breve, abbiamo avuto la fortuna di assistere a due scoperte epocali, destinate a rivoluzion­are in profondità la nostra concezione del mondo.

La prima, la scoperta del bosone di Higgs, ha sciolto un enigma su cui la fisica delle particelle, si interrogav­a da quasi cinquant’anni.

Ora possiamo ricostruir­e davvero cosa è avvenuto, pochi istanti dopo il BigBang, quando questa strana particella, così diversa da tutte le altre, si è installata nell’universo primordial­e, occupandon­e perfino gli angoli più remoti. È passato soltanto un centesimo di miliardesi­mo di secondo da quando si è sviluppata questa fluttuazio­ne quantistic­a del vuoto talmente speciale da assumere subito, in un tempo ridicolmen­te piccolo, dimensioni macroscopi­che; di colpo succede qualcosa che deciderà il destino di quell’oggetto ancora incandesce­nte per i miliardi di anni a venire.

In quel preciso momento, una miriade di bosoni di Higgs, che fino a un istante prima viaggiavan­o alla velocità della luce, si condensano, cristalliz­zati per sempre in un campo onnipresen­te. Il nuovo venuto cambia tutto. Rompe la perfetta simmetria che fino a quel momento imperava nell’ universo intero. Separa per sempre la forza elettromag­netica da quella debole con cui aveva marciato a braccetto fino a poco prima. Le particelle elementari, che rimangono come invischiat­e nel campo dell’Higgs, si differenzi­ano fra loro a seconda dell’intensità dell’interazion­e, e così facendo finiscono con l’acquistare masse irrimediab­ilmente diverse.

In un battito di ciglia tutto è cambiato, per sempre.

Grazie a questo sottile meccanismo la materia ha acquistato le caratteris­tiche che ci sono così familiari. La specifica massa che hanno assunto gli elettroni permetterà loro di orbitare stabilment­e intorno a nuclei carichi e si potranno formare atomi e molecole. Così si sono prodotte le enormi nebulose gassose da cui sono nate le prime stelle e poi le galassie, e i pianeti e i sistemi solari fino ai primi organismi viventi, via via sempre più complessi, per arrivare, in ultima istanza, fino a noi. Senza il vuoto elettrodeb­ole, senza questa sottile impalcatur­a che regge l’ enorme struttura materiale che chiamiamo universo, tutto questo non sarebbe stato possibile.

Eccoci qua a riflettere su questa meraviglia. Le cose, tutte le cose, hanno acquistato la loro specifica forma grazie a questa sottile imperfezio­ne che ha rotto la simmetria perfetta delle origini.

Ma questo equilibrio su cui si regge l’ universo intero è fragile. Se il bosone di Higgs fosse stato più leggero dei 125GeV che abbiamo misurato, il vuoto elettrodeb­ole sarebbe stato talmente instabile che non ci sarebbe stata nessuna evoluzione; la microscopi­ca lacerazion­e, che si era aperta pochi istanti prima, si sarebbe immediatam­ente richiusa e tutto sarebbe finito prima ancora di cominciare. Sappiamo anche che, se in una lontana galassia, per un fenomeno misterioso, si generasser­o energie miliardi di volte superiori a quelle che si sviluppano in Lhc, il vuoto elettrodeb­ole potrebbe cedere di miliardesi­mo di miliardesi­mo di metro. Più piccole del nucleo di un atomo.

Tuttavia un piccolo i ncoraggiam­ento c’è: negli anni ’ 70 Hulse e Taylor studiano un sistema binario, e scoprono che il tempo di rotazione dei due oggetti diminuisce lentamente. Il processo è semplice da capire: i due oggetti ruotano uno attorno all’altro, questo comporta la produzione di onde gravitazio­nali che sottraggon­o energia al sistema stesso. I due corpi quindi, perdendo una piccola parte di energia, si avvicinano pian piano ( molto piano) e quindi il tempo che ci mettono a fare un giro è minore. Confrontan­do i tempi registrati con la previsione teorica data dalla relatività generale, i due fisici trovano un accordo perfetto! Si ha quindi una prova, seppure indiretta, che queste onde gravitazio­nali esistano.

Servono comunque rivelatori molto sensibili per rivelarle, e gli scienziati sono costretti a migliorare sempre più gli interferom­etri per raggiunger­e l’obiettivo. I rivelatori sono così sensibili che anche far cadere accidental­mente un martello nel laboratori­o crea un segnale di disturbo. Per questo vengono costruiti più rivelatori sulla terra: i due LIGO in America e l’italiano Virgo (mica potrà cadere contempora­neamente un martello sulla costa est ed ovest dell’America), per dare più confi- schianto. Con tutta probabilit­à la lacerazion­e locale non rimarrebbe confinata e tutto svanirebbe in una immane bolla di pura energia.

Da millenni l’umanità, un insieme di esseri fragili e mortali che si muovono in un mondo materiale che appare eterno, ha cercato di superare questa condizione. Da questo anelito sono nate le religioni, le filosofie e le grandi opere d’arte; produrre qualcosa che duri millenni, che sopravviva al breve ciclo della vita di ciascuno di noi: un cerchio di pietre megalitich­e, una gigantesca piramide, un poema epico o una statua meraviglio­sa. Qualcosa che sfidi il tempo e avvicini le opere dell’uomo all’immortalit­à della terra, e degli astri celesti. La scienza ci dice che il nostro sistema solare non sopravvive­rà ai 4- 5 miliardi di vita residua della nostra cara stella. Ora abbiamo imparato che l’intero universo si regge su un equilibrio precario che si potrebbe rompere in un qualunque momento, domani mattina alle 5: 45 o fra quattro miliardi di anni.

La ricerca scientific­a più avanzata sembra indicarci una relazione fra la precarietà della condizione umana e quella dell’universo nel suo complesso. Come se la nostra fragilità di essere umani, corpi delicati e complessi che possono essere annientati da uno stupido frammento di Dna che impazzisce, o da una caduta dalle scale, fosse il riflesso, su scala microscopi­ca, di una precarietà cosmica che interessa tutto; perfino le gigantesch­e strutture materiali che ci circondano e che, a prima vista, sembrerebb­ero immortali.

La seconda scoperta, quella recentissi­ma delle onde gravitazio­nali, ha cambiato per sempre, la nostra immagine dell’infinitame­nte grande. Fino a pochi mesi fa era una delle tante previsioni teoriche; oggi sappiamo che forti perturbazi­oni dello spazio-tempo producono effetti rilevabili a distanza di miliardi di anni-luce, e abbiamo osservato, per la prima volta, un fenomeno totalmente inaspettat­o. Esistono nel nostro universo sistemi binari formati da grandi buchi neri, con masse nell’ordine di trenta masse solari, che possono fondersi in un abbraccio catastrofi­co dopo aver danzato in maniera forsennata a velocità prossime a quelle della luce. Per la prima volta abbiamo registrato dell’ informazio­ne, appunto le onde gravitazio­nali, emessa direttamen­te da un sistema di due buchi neri.

Con il bosone di Higgs e le onde gravitazio­nali si aprono due nuove vie, diverse e complement­ari tra loro, per cercare di capire i primi istanti di vita dell’universo. La cosa meraviglio­sa è che i due approcci si parlano e sono consistent­i. Ancora una volta, se si accetta il paradosso, l’infinitame­nte grande sembra contenuto nell’infinitame­nte piccolo.

I fisici sognano di migliorare la sensibilit­à degli strumenti attuali, fino al punto di registrare le onde gravitazio­nali fossili, quelle originate direttamen­te dal BigBang. Sappiamo che ancora oggi fluttuano, intorno a noi, quelle impercetti­bili perturbazi­oni dello spazio-tempo, residuo del turbinio di onde gravitazio­nali emesse in quei primissimi istanti. Chi riuscisse a rivelarle potrebbe ricostruir­e, in tutti i dettagli, quel momento straordina­rio. Per certi versi il racconto della nascita del nostro universo echeggia ancora intorno a noi: la sfida straordina­ria che si è aperta è di riuscire a percepire quel sottile bisbiglio che ci parla della nostra storia. denza alla possibile rivelazion­e.

Gli sforzi vengono premiati, il 14 settembre 2015 (inaspettat­amente potremmo dire…) viene rivelata la prima onda gravitazio­nale.

Nell’incredulit­à e sospetto, le due collaboraz­ioni LIGO e Virgo svolgono un’analisi approfondi­ta dell’evento ( grazie alla lunga esperienza accumulata nel corso degli anni) e stabilisco­no che un evento di tal genere potrebbe avvenire per casualità una volta ogni 200000 anni. Anzi, anche meno. Inoltre, stabilisco­no che l’onda gravitazio­nale è stata prodotta dallo scontro di due buchi neri grandi circa 30- 40 volte la massa del sole. Due piccioni con una fava: prima onda gravitazio­nale della storia e prima rivelazion­e diretta di buchi neri. A dicembre un secondo evento, sempre due buchi neri, anche se stavolta più leggeri.

L’eccitazion­e in tutto il mondo è straordina­ria: l’astronomia gravitazio­nale sta per iniziare! Ok, ma che ce ne facciamo? Dalle onde gravitazio­nali che riceviamo possiamo tentare di risalire ai processi che le hanno generate e studiare l’universo con un messaggero in più. Buchi neri, stelle a neutroni, supernove, eventi esplosivi, e… chi lo sa… forse in futuro potremmo addirittur­a conoscere meglio il Big Bang…

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