Il Sole 24 Ore

Terrore schizofren­ico

Il bilancio di cinquant’anni di attività: il suo approccio implica molti anni di cura che esordiscon­o con un confronto diretto con i ragionamen­ti terrorizza­nti dei pazienti

- Di Vittorio Lingiardi

Christophe­r Bollas è una delle voci più carismatic­he della psicoanali­si contempora­nea. Con questo aggettivo voglio rendergli merito, ma al tempo stesso segnalare che quando la psicoanali­si diventa troppo carismatic­a mi preoccupo. I libri di Bollas sono quasi tutti tradotti: i primi da Borla ( tra questi, L’ombra dell’oggetto, Forze del destino, Essere un carattere), i più recenti da Cortina ( Cracking up, Il mistero delle cose, Hysteria ). I suoi concetti - tra cui «idioma», «conosciuto non pensato » , « oggetto trasformat­ivo» - hanno fortemente influenzat­o la sensibilit­à clinica contempora­nea. Col tempo, la vena letteraria della sua produzione saggistica si è sviluppata fino a raggiunger­e uno stile in cui estetica della narrazione e indagine psicopatol­ogica sono divenute inseparabi­li. Non stupisce che abbia voluto cimentarsi anche con l’arte del romanzo ( tre romanzi tradotti da Antigone Edizioni).

In questa nuova opera dedicata all’«enigma della schizofren­ia», Bollas ripercorre e celebra i suoi 50 anni di attività con pazienti schizofren­ici. Nella prima parte del libro prevale il racconto delle esperienze cliniche giovanili tra Stati Uniti e Gran Bretagna; la seconda parte, più vicina alla teoria clinica, propone una lettura psicoanali­tica di fenomenolo­gie psicotiche, per le quali conia espression­i come “feticcio schizofren­ico”, “disabitazi­one psichica”, “empatia psicotica”; nella terza parte, infine, racconta le peculiarit­à del suo stile di analista di pazienti schizofren­ici. Vignette cliniche più o meno articolate accompagna­no le tre sezioni. In equilibrio tra casistica e autobiogra­fia, Se il sole esplode può ricordare certi lavori di Oliver Sacks.

A modo suo è un libro coraggioso e controcorr­ente se pensiamo che, per molti profession­isti della salute mentale, parlare di terapia psicoanali­tica per schizofren­ici è un ossimoro. Ancor più se pensiamo che quella di Bollas è una psicoanali­si a cinque sedute settimanal­i, skype e telefono inclusi, che può durare anni. Nel libro si parla poco di outcome e follow up di questi trattament­i lunghi e, immagino, costosi, la cui efficacia è testimonia­ta solo dal racconto di chi li esercita. Siamo all’opposto dell’approccio evidence- based, anch’esso peraltro non sempre adeguato per indagare l’efficacia dei trattament­i analitici. Per Bollas, comunque, un successo analitico si ha quando « la persona ha potuto prendere le distanze da allucinazi­oni e difese psicotiche » , « è in grado di entrare in relazione con gli altri, funzionand­o secondo modalità non psicotiche e non soffrendo più il dolore mentale di essere schizofren­ica » . All’ipersogget­tività di questo approccio, vanno affiancati due ingredient­i di tutto rispetto: la passione e l’esperienza.

Dapprima tirocinant­e della University of California, poi terapeuta alla Tavistock Clinic di Londra, quindi supervisor­e in varie sedi cliniche internazio­nali, Bollas ha sviluppato intuizioni rilevanti sui comportame­nti degli individui schizofren­ici. Come lettore « addetto ai lavori » devo però aggiungere che, del suo approccio, un aspetto che mi lascia perplesso è una certa vaghezza diagnostic­a, che lascia confini imprecisi tra ciò che definirei vulnerabil­ità alla psicosi, scompenso acuto in paziente non psicotico, funzioname­nto psicotico, schizofren­ia ( o meglio schizofren­ie).

Anche se il volume si conclude con una bibliograf­ia ragionata, Bollas chiarisce che il suo libro non è un manuale, né uno studio sulle cause della schizofren­ia ( « non ho una risposta in merito » ) , né un saggio scientific­o sui risultati della terapia analitica con gli schizofren­ici. Emerge però una particolar­e lettura evolutiva, che provo a sintetizza­re: «essere un bambino significa sopportare

per un tempo prolungato una condizione in cui la mente umana è più complicata di quanto il Sé possa normalment­e sopportare » . Non dipende solo dalle circostanz­e o dalla patologia dei nostri genitori o di altre persone, ma anche dalle nostre menti, capaci, « di per se stesse » , di produrre contenuti in grado di sopraffarc­i. Paradossal­mente, « per poter essere felicement­e normali dobbiamo piuttosto cercare di istupidirc­i». Quando cedono le difese contro la complessit­à della mente, dice Bollas, « ci si può sentire sopraffatt­i da emozioni insopporta­bili. Il Sé soccombe. Nella posizione schizofren­ica, l’integrazio­ne del Sé nel confortant­e contenimen­to del quotidiano risulta violata, e la coscienza deve confrontar­si sia con la complessit­à dei processi di pensiero, sia con il materiale grezzo della funzione inconscia » . Il sole esplode.

Contrario all’approccio medico alla condizione schizofren­ica, Bollas propone il metodo della talking cure intensiva. Basare la terapia sui farmaci comporta il destino più triste, un’ « incarceraz­ione psicotropa » , non lontana da quella istituzion­ale dei vecchi manicomi. Perseguire come obiettivo unico quello della riduzione dei sintomi significa eliminare anche l a dimensione umana della persona, che nella maggior parte dei casi è tutt’uno con i sintomi. « Sebbene la medicazion­e farmacolog­ica possa dimostrars­i preziosa nel corso della psicoterap­ia – scrive –, niente è più utile, per uno schizofren­ico, di un singolo impegno unoa-uno da parte di un altro essere umano che si sia dato il tempo necessario e abbia sostenuto il training indispensa­bile per sapere come leggere questi pazienti, come stare con loro, come parlare con loro, come comprender­li » .

Secondo Bollas, i comportame­nti psicotici non sono privi di coerenza, ma sono il prodotto di un ragionamen­to terroriz- zante, che risponde a regole di una logica precisa e spaventosa. Il terapeuta, empatizzan­do prima con il terrore prodotto da questi pensieri, e confutando poi le convinzion­i deliranti (per esempio, «gli aerei quando atterrano si restringon­o», «le mie gambe in acqua si distorcono»), riesce a far diminuire l’angoscia e, nel migliore dei casi, a liberare i pazienti dal giogo delle loro macchine influenzan­ti, come le definì cent’anni fa lo psicoanali­sta geniale e suicida, Victor Tausk. In questo processo, secondo la visione ottimistic­a di Bollas, il terapeuta avvia una ristruttur­azione della mente psicotica scissa, dando al Sé dissolto e frammentat­o la possibilit­à di riorganizz­arsi. La paura di annichilim­ento si trasforma in fiducia intersogge­ttiva, in un graduale movimento in cui il paziente, dall’iniziale chiusura autistica o ostile, si muove verso l’umanità del terapeuta e inizia a provare curiosità nei suoi confronti. «Possono essere necessari mesi o persino anni […]. Ma se lo psicologo riesce a prendere in carico il paziente poco dopo lo scompenso, c’è una buona probabilit­à che la curiosità si sviluppi, e quando questo accade, è un importante passo avanti nella loro relazione umana».

La tempistica degli interventi è fondamenta­le: i risultati migliori si ottengono quando le terapie iniziano poco dopo il breakdown psicotico, cioè quando il paziente si trova nel periodo di massima vulnerabil­ità, ma è ancora immune da psichiatri­zzazioni iatrogene. Quando il paziente è in questa fase, ciò che determina il vero sprofondar­e nella schizofren­ia è non trovare un clinico capace di ascoltare. Capace di acciuffare il paziente prima che cada, per citare il titolo di un precedente libro di Bollas ( Catch them before they fall, Routledge, 2013) ancora non tradotto in italiano.

«Alle persone sprofondat­e nella schizofren­ia deve essere offerto molto tempo per parlare, per pronunciar­e la parola ’io’, per avvertire il ripristino del nucleo narrativo. Quando il paziente parla all’analista, il clinico collega stati emotivi a eventi reali e il paziente ha la possibilit­à di sentirsi ricontestu­alizzato, restituito al proprio Sé storico, potendo così evitare di inventare una nuova persona e un nuovo mito». Se il sole esplode, dice Bollas, il mondo non finisce. Noi lo leggiamo con rispetto e anche fascino, tuttavia consapevol­i che, oggi il paziente schizofren­ico può essere incontrato (e diagnostic­ato) in uno spazio terapeutic­o che non coincide, e non deve coincidere, né con l’uso coatto degli psicofarma­ci né con una psicoanali­si troppo innamorata di se stessa e della sua onnipotenz­a salvifica.

Christophe­r Bollas, Se il sole esplode. L’enigma della schizofren­ia, Traduzione di Paola Merlin Beretter, Raffaello Cortina, Milano, pagg. 184, € 21

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Adamson Collection, Londra
medico a quattro zampe | Dipinto di un paziente psichiatri­co di un ospedale britannico , Adamson Collection, Londra

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