Il Sole 24 Ore

Il segretario dei barbari

Il primo collaborat­ore di Teodorico lasciò la politica attiva e si rifugiò in monastero per salvare la cultura e scrivere i suoi trattati

- Di Maria Bettetini

Se c’è stato un periodo storico terribile per la storia d’Italia, tra tutti ( e tanti) sceglierei quei secoli quinto e sesto della nostra era, quando Roma fu saccheggia­ta dai Visigoti e neanche cinquant’anni dopo dai Vandali, quando dell’Impero Occidental­e, anche prima della deposizion­e del giovane Romolo, non restavano che le vuote forme riempite da funzionari e soldati dell’est e del nord che a volte lo servivano, a volte lo combatteva­no. Quando dalla Lusitania all’Eufrate era un’unica catena di guerre, tradimenti, assassinii. E poi la peste, i terreni espropriat­i dall’esercito che capitava, e ne capitavano tanti, la chiusura delle scuole di filosofia, anzi di ogni forma di scuola. La confusione delle lingue, le battaglie tra cattolici e ariani, le strade insicure. Anzi, come si diceva a scuola? Barbari che premono ai confini, briganti che infestano le vie.

Eppure. Eppure la comunicazi­one tra l’Italia (Ravenna, Roma, Milano) e Costantino­poli sembra essere più veloce ed effi- cace di un pacco con pieghi di libro odierno, eppure bastarono alcuni grandi uomini di cultura per salvare dall’oblio la cultura cosiddetta classica. Uno di questi si chiama Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (quest’ultimo doveva essere il nickname con cui i latini usavano essere riconosciu­ti): poco più giovane di Boezio, del quale prese il posto alla corte di Teodorico come maestro officiorum, capo dell’amministra­zione civile e militare. Qui forse ha origine la cattiva reputazion­e dell’uomo nato in Calabria, a Squillace (dove aveva forse abitato la temibile Scylla), sebben di origini siriane.

Il nonno e il padre erano funzionari e diplomatic­i, il nonno accompagnò papa Leone I a fermare Attila e i suoi Unni, forse proprio a parlare col temibile guerriero. Il padre era alla corte di Teodorico, plenipoten­ziario e intimo del capo ostrogoto che governava l’Occidente in nome dell’imperatore d’Oriente. Ecco perché sembrò naturale a Cassiodoro – già segretario di Teodorico -accettare il lavoro che era stato di Boezio, nello stesso anno decapitato per sospetto tradimento. L’uomo di cultura seguiva il potere, ma non per avidità, piuttosto con l’intenzione di indirizzar­e questi governanti assetati di sangue, fossero i goti Teodato o Vitige, o gli imperatori Teodosio o Giustinian­o con la moglie Teodora. Questo almeno è quello che appare a leggere le Variae, le moltissime lettere che Cassiodoro scrisse ai sovrani da parte di altri sovrani, sostenendo la pace, con esiti alterni, infine con scarso successo. Le delusioni portarono l’uomo a dedicare più tempo alle vicende dello spirito, scrisse un trattato sull’anima, incominciò un commento ai Salmi: queste opere sono in corso di traduzione da Jaca Book, in collaboraz­ione con l’Associazio­ne Centro Culturale Cassiodoro, di Squillace in provincia di Catanzaro. Dopo un soggiorno a Roma, un altro a Costantino­poli, giunto a un’età per l’epoca ormai avanzata, oltre i sessant’anni, Cassiodoro decise di lasciare ogni con- tatto col potere temporale e di creare nella terra dove era nato un centro di protezione della cultura. Un cenobio di monaci (anche se Cassiodoro pare proprio che monaco non lo sia mai diventato), occupati dalla trascrizio­ne dei libri latini e greci e dalla loro conservazi­one, resi autosuffic­ienti dal lavoro di altri monaci e dai beni di Cassiodoro stesso.

Un’idea che a Montecassi­no, in quegli anni, si stava concretizz­ando nella regola di san Benedetto e che doveva cambiare il corso del sapere per mille anni. I due uomini, però, non si incontraro­no mai, per quanto ci sia dato di sapere: d’altra parte fu solo Gregorio Magno, nel secolo successivo, che scrivendo la biografia di Benedetto ne fece conoscere la vita e la regola, a dispetto della distruzion­e di Montecassi­no (la prima), voluta dai Longobardi intorno al 577, pochi anni prima della morte di Cassiodoro. Che nel frattempo aveva messo in piedi una enorme biblioteca di testi religiosi, letterari, scientific­i, che dopo di lui sarebbe rimasta lì solo una ventina d’anni, per finire dispersa, se pur non del tutto perduta. Insieme ai testi, le istruzioni per l’uso, le Institutio­nes che raccontano il ruolo delle sette arti liberali nella formazione di qualunque sapienza, con l’aggiunta di un trattato di ortografia scritto da un

Cassiodoro ultranovan­tenne, quasi un ultimo grido dell’ultimo dei laici che, per qualche secolo, avrebbe studiato e fatto studiare le opere alla base della civiltà.

Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, Confido in te Signore. Commento alle suppliche individual­i, a cura di Antonio Cantisani, Jaca Book, Milano, pagg. 508, € 30

Da ricordare: Franco Cardini, Cassiodoro il grande. Roma, i barbari e il monachesim­o , Jaca Book, Milano, pagg. 172, € 14

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