Diari del Dna socialista
Questo ultimo volume dei diari di Pietro Nenni (1973-1979) è il più interessante per capire quale è stato il suo lascito storico. Ha ragione Paolo Franchi, nella sua prefazione, a sottolinearne i contenuti ideali, perché Nenni ha segnato profondamente la storia del socialismo italiano dagli anni 20 in poi. Può anzi dirsi che senza considerare la sua figura non si può capire la storia del Partito socialista, avendone egli marcato l’identità stessa. Gli anni 20 determinarono, infatti, la fine del riformismo turatiano e l’eclissi del disegno massimalista. L’inclinazione di quest’ultimo era per una definitiva confluenza nella nuova internazionale comunista. L’autonomia socialista nasce dal rifiuto di questa ipotesi e già allora Nenni ne fu il maggiore protagonista.
Gaetano Arfè , per questo suo ruolo, lo definì socialista, libertario e giacobino. Quest’ultimo termine, se nella storia italiana ha un significato, definisce la contrapposizione, nell’Italia liberale e democratica, tra la laicità dello Stato e la Chiesa. L’adesione di Nenni al socialismo fu un andar oltre questo confronto, piuttosto verso quello tra popolo e Stato borghese, non venendo meno l’acceso anticlericalismo. Il richiamo al “popolo” fu poco presente nel secondo dopoguerra. L’altro personaggio che lo rivendicava, in opposizione al concetto di società di massa, è stato De Gasperi. In Nenni mancava invero anche un’idea del primato dello Stato, se non nella sua accezione di Stato nazionale, avendo egli forti sentimenti patriottici. Democrazia di popolo dunque, a partire dalla quale bisognava realizzare un radicale progresso sociale. Il partito non aveva poi in lui la sacralità ch’era propria dei comunisti e il socialismo gli si configurava piuttosto come un movimento della storia contemporanea. Poca attenzione egli prestava del resto ai nessi istituzionali, economici e sociali della dialettica politica e il suo “politique d’abord” avrebbe poi risentito di questo limite.
Gli elementi fondanti dell’idealità di Nenni appartengono quasi tutti alla sua formazione giovanile degli inizi del 900 e ritornano a manifestarsi integri in queste pagine di diario. Egli, tra i leader del secondo dopoguerra, fu quello che rimase più fedele a questo retaggio e può a giusto titolo definirsi un “patriarca”, come ci ricorda Paolo Franchi. Ciò non toglie che abbia dovuto fare i conti con la storia, innanzi tutto tra le due guerre. L’autonomia socialista caratterizzava innanzi tutto il confronto col comunismo. E questa fu una costante che dovette passare attraverso vicende travagliate. Quando Stalin nel 1936 cambiò linea, appoggiando la politica dei fronti popolari, nacque il patto di unità d’azione tra socialisti e comunisti contro il fascismo. Alle elezioni della Costituente nel 1946 i socialisti presero più voti dei comunisti. Nenni aveva contribuito non poco a questo successo. La sua eloquenza era trascinante, basata com’era su una griglia sem- plice di concetti. Era l’oratore per eccellenza dell’unità di classe. Ma da ciò nacquero poi dilemmi insuperabili. Lo stesso concetto di popolo si fuse promiscuamente con quello di unità di classe ed unità politica con i comunisti. E poiché si era gli albori della guerra fredda fu una scelta di campo che per i socialisti non poteva che essere perdente.
Furono il rapporto Kruscev del 1956 e i fatti di Ungheria a far mutare registro a Nenni. Egli intese lucidamente che l’esperienza generata dalla rivoluzione russa si avviava a un irreversibile declino. Pensava che gli effetti si sarebbero sentiti anche in Italia, solo che nella realtà sarebbero passati altri trent’anni prima che questo processo giungesse alla sua conclusione. Il suo “politique d’abord” lo portò dunque necessariamente a un accordo con le forze laiche e cattoliche su di un disegno riformista. Ma il centrosinistra, rispetto agli obbiettivi che si era dato, fu un fallimento, che si ripercosse politicamente soprattutto sul partito socialista.
La storia di Nenni è sempre stata punteggiata da sconfitte politiche. Egli ne individuava poi lucidamente le cause e gli effetti. In queste pagine del diario è ormai fuori dalla contesa interna al suo partito. Aveva giocato l’ultima sua carta nel 1969 col difendere invano l’unificazione socialista. Attribuiva il fallimento del centrosinistra principalmente alla Dc e ne riscontra gli effetti negativi sulla tenuta politica, sociale ed economica del Paese. Avvertiva che un coinvolgimento dei comunisti nella maggioranza di governo era ormai necessario. Ma vedeva nell’idea di Berlinguer del “compromesso storico” un approdo soffocante della libera dialettica intellettuale e politica in una democrazia. Difese così con passione il divorzio nella campagna referendaria. C’è una pagina del diario assai eloquente, quando Nenni ricevette la visita del comunista Bufalini con la richiesta che egli si facesse promotore, anche a nome del Pci, di una modifica, concordata con la Dc, della legge sul divorzio per evitare il referendum, da lui respinta seccamente.
Nenni sostenne Craxi nella sua ascesa alla segreteria del Psi. Approvò la sua posizione trattativista nella drammatica vicenda di Moro. Credeva ancora possibile, in quelle contingenze, un rilancio del ruolo socialista, pur con qualche riserva sull’autoreferenzialità del nuovo segretario. Tornò al tema del ’ 69, quando difese l’unificazione socialista e avvertì che una centralità socialista, nella dinamica politica, poteva operare solo se accompagnata da un accordo concomitante con gli altri partiti laici per potersi confrontare con la Dc e soprattutto il Pci. Sono pagine amare su quell’ultimo drammatico scorcio degli anni 70, tra instabilità politica, terrorismo e corruzione, ma anche scritte con serenità di giudizio, nella convinzione che l’unico modo di procedere è sempre quello di guardare avanti.