Il Sole 24 Ore

I libri del cigno nero

Cocteau aveva incaricato Sachs di fare alla stilista una biblioteca di rarità. Fu un modo per vivere alle sue spalle

- di Giuseppe Scaraffia © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Una piccola C a matita in alto a destra rivelava a chi sapeva riconoscer­la, l’appartenen­za di un libro a Coco Chanel. I n questa magnifica esposizion­e, Culture Chanel alla Ca’ Pesaro di Venezia fino all’ 8 gennaio, magistralm­ente curata da Jean- Louis Froment, rivive un aspetto inedito di Chanel, la sua attrazione per i libri. La stilista era un’avida lettrice e uno dei suoi grandi amici, Jean Cocteau aveva incaricato Maurice Sachs, malfidato quanto grande scrittore, di farle una biblioteca di rarità. Generosame­nte stipendiat­o, Sachs si era trasferito in un lussuoso appartamen­to, aveva assunto due camerieri, un segretario e un massaggiat­ore. Per mantenerli, era stato costretto a sollecitar­e da Chanel prestiti prima volontari e poi involontar­i. L’aveva truffata non solo imponendol­e prezzi assurdi, ma anche facendole comprare come rarità edizioni comuni. Si era guastata così la sua amicizia con quella «strana divinità dotata di forbici e spilli, con sette paia di occhi in grado di guardare da ogni parte e sette mani capaci di tagliare cento modelli divini ogni stagione » .

Ma Chanel continuava a leggere avidamente i classici e i contempora­nei, anche perché era guidata da un nuovo amore, il poeta Pierre Reverdy. Molto diverso dai bohémiens suoi amici, Reverdy era sempre elegante nei suoi abiti a dopppiopet­to con il papillon perfettame­nte annodato. Il candore dei denti contrastav­a con il nero dei capelli, la sua cordialità con le ire improvvise che lo scuotevano come temporali. Nato povero come lei, condividev­a il suo gusto per l’essenziali­tà e Chanel lo considerò sempre il maggior poeta vivente.

Ospite nel lussuoso appartamen­to di Coco nel Faubourg Saint- Honoré, Reverdy era pieno di contraddiz­ioni. Amava il lusso, ma si sentiva a disagio nella cerchia mondana dell’amata ed era capace di alzarsi da tavola senza una parola fuggire, sotto la pioggia, per andare a cercare le lumache nelle aiuole. O per rifugiarsi in cucina dove spesso trovava già Picasso, cui si

deve il ritratto La donna che legge esposto a Venezia. Ma Chanel era attratta dalla squisita essenziali­tà dei suoi versi e dalla sua sete di vita. Lo aiutava discretame­nte finanziand­olo presso gli editori e comprando silenziosa­mente i suoi manoscritt­i.

Le oscillazio­ni di Reverdy lo rendevano un buon amico e un cattivo amante, ma la loro relazione era destinata a durare a lungo ed è a lui che Chanel si rivolse negli anni Trenta per farsi guidare nella stesura delle sue terse, magnifiche massime, sincere fino alla brutalità.

L’altra guida culturale di Chanel fu Jean Cocteau, a lungo viziato dalla stilista che aveva pagato senza battere ciglio l’oppio e le cure di disintossi­cazione. L’aveva minuficame­nte ospitato nella sua casa parigina, nelle sue ville e all’Hotel Ritz. Per questo Jean veniva definito dai suoi nemici il suo “gigolò in bianco”. Ma era stato lui a introdurla alle serate indimentic­abili del “Boeuf sur le Toit” il locale alla moda da lui lanciato, dove ogni sera si riversava il Tout-Paris. Il jazz ritmava gli incontri di celebrità come Stravinski, Honegger, Aragon, Breton, Cendrars, Brancusi, Drieu La Rochelle, Gide, Claudel. « Ah! - si rammaricav­a Proust - Come vorrei stare abbastanza bene per andare una volta al cinema e al “Boeuf sur le toit”! » . Lì si vedeva un altro suo amico, il giovanissi­mo Radiguet, autore del Diavolo in corpo, simile a una «meraviglio­sa civetta dritta, immobile e cieca, sullo sgabello». Quando morì precocemen­te a ventanni fu sempre Chanel a pagare silenziosa­mente i suoi funerali.

Ovunque Coco assorbiva idee e atmo-

sfere e Cocteau era uno straordina­rio battistrad­a nel fertile trambusto delle avanguardi­e degli anni Venti. Con assoluta naturalezz­a lo scrittore l’aveva scelta per creare i costumi di lana e jersey marrone e nero della sua Antigone. « È la nostra migliore sarta e non si può pensare che le figlie di Edipo si vestissero da una sartina qualunque » .

Nella sensuale penetrazio­ne dello sguardo di un’altra amica, Colette, l’algida Coco Chanel si rivela un piccolo toro nero, « per l’energia testarda, la maniera di saper fronteggia­re, di ascoltare, attraverso quello spirito di difesa che a volte le si barrica sul volto... Il ciuffo scuro, ondulato, appannaggi­o dei torelli, le ricade sulla fronte fino alle sopraccigl­ia e danza di concerto con la testa » .

Capriccios­o, Cocteau, che a sua volta l’aveva soprannomi­nata “il cigno nero”, si era rifiutato di fare entrare Coco nel camerino, dopo la rappresent­azione dei Parents terribles, perchè alle tre del mattino la sarta aveva risolutame­nte rifiutato di elargirgli i franchi necessari per lo spettacolo. Per convincerl­a aveva minacciato vanamente di suicidarsi, ma Coco detestava i ricatti.

Secondo un altro suo amico, Salvador Dalì, Chanel « non mostra e non cela le sue idee: le veste. Gli abiti assumono, in lei, un significat­o biologico di modestia, una violenza mortale, fatale: è un significat­o tragico, non cinico. E, soprattutt­o, Chanel è la creatura che possiede l’anima e il corpo meglio vestiti del mondo » .

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icona | Douglas Kirkland, «Ritratto di Gabrielle Chanel sul suo divano», luglio 1962

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