L’Italia nascosta
Negli ultimi anni lo scrittore e giornalista Giorgio Boatti ha raccontato l’Italia in un’appassionata trilogia di viaggio: dapprima i monasteri ( 2012), poi il ritorno alla terra e la riscoperta dell’agricoltura ( 2014). Il terzo volume di questo percorso non dà comunque la sensazione di essere l’ultimo della serie perché – come recita una poesia yiddish – «Il foglio è ancora bianco, l’inchiostro è ancora nero » .
Il punto di partenza è un Paese allo sprofondo, dopo dieci anni di crisi senza respiro. Non è neppure più il declino dell’Italia industriale, ormai compiuto e già materia per gli storici; è una crisi strisciante, economica e finanziaria, certo, ma anche intellettuale e morale.
Boatti si è messo in cammino lungo le statali, lontano da autostrade e alta velocità, attraverso un’Italia di provincia assai lontana dal suo stereotipo di sonnolenta immobilità. Ha scoperto luoghi dove le difficoltà sono considerate opportunità, dove non si ha paura del cambiamento, dove si sperimentano nuove pratiche ma soprattutto nuovi pensieri e nuovi sentimenti.
Ad Angeli di Rosora ( Ancona) la fabbrica tradizionale è stata superata mettendo al centro la conoscenza e il rapporto col territorio. A Seggiano, un paesino inerpicato sul Monte Amiata, l’ulivo sospeso distende le proprie radici ben in vista in una cisterna sottostante, alimentandosi dal vapore acqueo, mentre sensori registrano e raccontano la vita dell’albero; tutto intorno fioriscono progetti finanziati dall’Europa nell’agricoltura e nell’allevamento. Nel Chianti, a Castelnuovo Berardenga, si riflette sul paesaggio e si introduce la libertà nella rigida geometria dei vigneti. A Colorno ( Parma) si rafforza anno dopo anno la Scuola internazionale di cucina italiana. La parrocchia genovese di San Giuseppe e Padre Santo si prende cura con efficienza manageriale e spirito evangelico degli ultimi. Anche nell’Albergo etico di Asti non si fanno sconti per malinteso buonismo e lo sanno bene gli impiegati, ragazzi down in cammino verso l’autonomia: vite “imperfette” che imparano ad accettarsi senza paura, perché sanno che in fondo nessuna vita è davvero perfetta se la si guarda abbastanza da vicino. Infine, a Bagno di Romagna, il lavoro dei volontari ha ricostruito un sentiero storico ristabilendo antichi collegamenti: un simbolo prima ancora che un servizio.
In tutti questi luoghi lo sviluppo economico non è fine a sé stesso, non comincia e finisce con un bilancio; si cerca e si avverte un diverso modo di stare al mondo. In molti casi andare avanti ha voluto dire tornare indietro e porsi il problema del senso del proprio lavoro, recuperare la creatività di antichi mestieri, le radici, lo spirito di comunità, la convivialità.
Boatti spera e dispera. Vuol credere che questo sia il futuro che avanza, silenzioso e sottotraccia, mentre sulla scena del mondo il vecchio esce lentamente di scena con tutto il suo insensato fragore. Si ripete, quasi per farsi coraggio, che per cogliere il nuovo serve uno sguardo obliquo, un diverso racconto, altre categorie. Ma poi, da uomo intelligente che molto ha visto, coglie per primo i limiti e il carattere eccezionale di esperienze inevitabilmente limitate. Intravede larghi orizzonti, ma sa di percorrere sentieri stretti con scarpe bucate…
A Faenza sta rinascendo l’antica tradizione dei “lumi di marzo”: scrutando nella notte i falò dove bruciano i tralci delle potature, si cerca d’indovinare la forma del futuro. Boatti cerca una luce meridiana che rischiari le tenebre e indichi la via d’uscita dalla crisi ma quel che trova sono esili fiammelle, segni di speranza che non autorizzano però l’ottimismo: l ucciole nella notte nera.
Giorgio Boatti, Portami oltre il buio. Viaggio nell’Italia che non ha paura, Laterza, Roma- Bari, pagg. 240, € 18