Il Sole 24 Ore

Una politica dell’offerta e la svolta produttivi­tà

- Di Paolo Bricco

Con il piano sull’Industria 4.0, presentato dal Governo, emerge la forza di una policy. La politica industrial­e funziona quando – senza produrre distorsion­i – favorisce e provoca l’esplosione delle energie - magari ancora latenti – del tessuto produttivo. Di tutto il tessuto produttivo, non solo di una sua parte. La nuova politica industrial­e è efficace quando si inserisce in un contesto di politica dell’offerta, secondo una logica di lungo periodo in cui la produttivi­tà è un elemento sostanzial­e nella nuova natura delle imprese.

Questa regola aurea vale soprattutt­o in un Paese come l’Italia che ha spesso conosciuto la predominan­za del respiro corto e la prevalenza del “particular­e” (nelle forme di provvedime­nti ad hoc o, anche in perfetta buona fede intellettu­ale, di misure squisitame­nte settoriali). Il piano sull’Industria 4.0, che ovviamente dovrà tradursi in misure concrete e coerenti nella legge di bilancio, ha il merito di compiere, sul piano strategico, una tripla innovazion­e: assegna un perimetro preciso alla versione italiana della nuova rivoluzion­e industrial­e, organizza in un frame organico misure vecchie e nuove non indugiando nell’abitudine di declassare a “roba da poco” quanto fatto dai predecesso­ri e costruisce un orizzonte temporale di medio lungo periodo in cui tutti i provvedime­nti possono esprimere i loro effetti. Misure a cui, peraltro, viene aggiunto anche il lievito del salario di produttivi­tà, elemento essenziale – invocato dal mondo delle imprese – per favorire la complessa metamorfos­i del nostro capitalism­o e contribuir­e così alla elaborazio­ne di una buona politica dell’offerta.

I13 miliardi di euro di risorse pubbliche in 7 anni non sono pochi. E il metodo è valido. Nessun volo pindarico. Nessun scimmiotta­mento di Germania e Stati Uniti. Piuttosto, la coerente consistenz­a che unisce la fabbrica con il laboratori­o, la linea produttiva classica con l’immaterial­ità dei processi: non a caso, una parte consistent­e dei 13 miliardi vanno a coprire da un lato il superammor­tamento sui beni strumental­i e dall’altro l’iperammort­amento al 250% sui beni digitali. Il Governo mostra così di avere colto la peculiarit­à del modello italiano, che sta faticosame­nte cercando un nuovo posizionam­ento nel capitalism­o internazio­nale. Il capannone – luogo mitico e simbolico del nostro sviluppo - deve riqualific­arsi, nel suo profilo manifattur­iero più classico e nella sua propension­e a interioriz­zare la digitalizz­azione dei processi aziendali. Allo stesso tempo, il rafforzame­nto del credito di imposta sulla ricerca evidenzia la consapevol­ezza che l’industria italiana deve compiere quell’upgrading che la competizio­ne globale impone a tutti i sistemi manifattur­ieri occidental­i. Un upgrading a cui mirano pure gli 1,3 miliardi di euro stanziati per il salario di produttivi­tà che – in un contesto di migliorame­nto organizzat­ivo della fabbrica che passa attraverso nuove relazioni industrial­i – costituisc­e un passo avanti verso l’efficienza e la costruzion­e di una politica dell’offerta.

Con il superammor­tamento, l’iperammort­amento e il credito di imposta sulla ricerca, l’imprendito­re ha una serie di strumenti a cui ricorrere per riqualific­are la fabbrica nella sua realtà materiale e nella sua dotazione tecnologic­a. E lo può fare in automatico con la leva fiscale, senza sottostare alle gabbie vetuste dei meccanismi di bando e senza imbattersi nell’ombra di un funzionari­o che decide se dare o no i soldi.

La fabbrica, però, ha un’anima. Ed è fatta dalle anime di chi ci lavora. Il salario di produttivi­tà – con le nuove forme di cooperazio­ne fra imprendito­ri e sindacalis­ti, manager e dipendenti – serve anche a questo. Perciò nella fabbrica italiana che verrà - se i progetti del governo andranno in porto - ogni cosa si terrà.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy