La leadership possibile
Potrebbe sembrare una lotta impari, una battaglia persa in partenza, quella di Milano, costretta da sempre a confrontarsi, soprattutto nella moda, con Parigi e Londra in Europa e con New York, metropoli che molti considerano la vera capitale degli Stati Uniti e forse del mondo. Oggi dovrebbe essere chiaro a tutti che di lotta impari non si tratta affatto.
Milano in realtà ha sempre avuto le carte in regola per competere con le due più importanti capitali europee e con New York. Anzi, per batterle tutte e tre, in un’ideale competizione che va ben oltre le fashion week. Perché Milano è un mix unico: dai secoli più lontani ha ereditato arte e cultura, da quello più recente lo sviluppo industriale, del commercio e dei servizi, con una struttura manifatturiera fatta di piccole e medie imprese ma anche di grandi gruppi. Quando, per evidenti ragioni di spazio e di opportunità, i siti produttivi si sono spostati nei confinanti territori lombardi, hanno lasciato tracce di archeologia e cultura industriale. E i luoghi dismessi sono stati riconvertiti in spazi culturali o, forse non è un caso, in showroom di marchi della moda. Il grande merito di Expo, come ripete spesso il sindaco Beppe Sala, è stato quello di «rimettere Milano sulle mappe da cui era sparita». La città non ha mai smesso di produrre ed esportare cultura, ma anche tecnologia, meccanica e, naturalmente moda e prodotti tessili. È mancato forse il coraggio o l’orgoglio di parlare della propria eccellenza, sottolineando invece sempre i problemi, economici, sociali e politici, che pure ci sono stati. Cittadini e imprese hanno continuato a essere operosi, creativi, innovativi. Ma forse per un innato understatement è mancata la comunicazione, la percezione di questo patrimonio. E forse è mancata pure la buona amministrazione, in anni in cui la cultura del fare è stata soffocata da lotte politiche e visioni di breve periodo.
La moda ha ora l’onere – e l’onore – di essere il modello più lampante del “sistema Milano”. Che può essere la vetrina ideale di tutto ciò che di unico esprime l’intera Italia, non la sola Milano, non la sola Lombardia. In nessun altro Paese convivono eccellenze nei campi più disparati: abbiamo singole aziende leader nei rispettivi settori (basti pensare a Luxottica, numero uno al mondo nell’occhialeria di alta gamma) o distretti industriali fatti di aziende che, quasi nell’ombra, hanno colonizzato il mondo (quello del gelato in Emilia Romagna è uno dei casi meno conosciuti). Poi ci sono le leadership di nicchia nella meccanica, nel biomedicale, nella tecnologia. Per non parlare delle filiere dell’arredodesign, dell’agroalimentare e, naturalmente, del tessilemoda. Quello che è mancato è la capacità di guardare oltre il proprio particulare, come diceva Gucciardini. È il momento di avere un sano “orgoglio della ragione”: le rivalità interne forse ci hanno temprato. Adesso siamo finalmente maturi per fare sistema. Prendendo esempio da Milano.