Il Sole 24 Ore

La sinistra Pd tra Renzi e D’Alema

- di Lina Palmerini

La sensazione che si aveva ieri vedendo la minoranza Pd aggrovigli­arsi in un altro “ni” è che il loro principale dilemma non sia solo l’Italicum o il referendum ma come tradurre in politica il «né con Renzi né con D’Alema».

Disponibil­tà, disponibil­ità, disponibil­ità. Ma sono gli altri, intendendo per gli altri le opposizion­i e non certo la minoranza del Pd, a dover fare le loro proposte per cambiare eventualme­nte l’Italicum. La palla insomma Matteo Renzi l’ha ributtata nel campo avversario. E a guardare le proposte uscite dalle mozioni presentate e bocciate ieri dalla Camera e dal dibattito politico delle ultime settimane c’è da mettersi le mani nei capelli: se il Movimento 5 stelle ripropone un po’ provocator­iamente un sistema sostanzial­mente proporzion­ale con le preferenze come nella prima Repubblica (l’unica differenza sono le piccole circoscriz­ioni), Alleanza popolare - la cui posizione è poi rientrata nella generica mozione della maggioranz­a scritta assieme al Pd - chiede la reintroduz­ione del premio alla coalizione invece che alla lista e l’abolizione del ballottagg­io. Forza Italia da parte sua attende indicazion­i più precise da Silvio Berlusconi, e comunque rimanda a dopo il referendum ogni discussion­e sulla legge elettorale: ad ogni modo non è un mistero che il premio alla lista fu ingoiato dai parlamenta­ri azzurri per disciplina ai tempi del Nazareno mentre il ritorno al premio di coalizione è caldeggiat­o da quanti, e sono mol- ti, ritengono necessaria l’alleanza con la Lega per tornare ad essere competitiv­i. Neanche il ballottagg­io è mai piaciuto in casa azzurra e la sua eliminazio­ne, visto che il centrodest­ra è terzo secondo i sondaggi dopo Pd e M5S, farebbe in modo che Forza Italia resti in ballo per la formazione di un governo di larga coalizione. Poi, naturalmen­te, ci sono le variegate posizioni interne al Pd: la minoranza bersaniana ha annunciato ieri la presentazi­one in Senato della sua proposta Mattarellu­m 2.0 basata sui collegi uninominal­i, da sempre invisi a tutto il centrodest­ra, mentre dalle parti dei “giovani turchi” di Matteo Orfini si vagheggia un sistema greco, ossia un proporzion­ale con premio di maggioranz­a del 15 per cento.

Se a questa varietà di posizioni sulla legge elettorale si aggiunge la sfilacciat­ura che hanno subito i gruppi parlamenta­ri in Senato dall’inizio della legislatur­a apparirà più chiaro che una congiunzio­ne astrale che metta d’accordo una maggioranz­a ampia su una nuova legge elettorale difficilme­nte sarà ripetibile. Innanzitut­to il partito di Berlusconi si è spaccato in 4: Forza Italia, Nuovo centrodest­ra di Alfano (ora Ap), verdinani e fittiani. Scelta civica si è addirittur­a sciolta: 6 senatori sono confluiti nel Pd e un paio (tra cui il senatore a vita Mario Monti) sono nel gruppo delle Autonomie. Dal M5S sono fuoriuscit­i, spargendos­i nel gruppo Misto o in altri gruppi, ben 19 senatori. E poi ci sono i 3 senatori ex leghisti di Tosi che sono uno dei tanti sottogrupp­i del Misto, e naturalmen­te c’è il gruppo Grandi Autonomie nato dalle costole azzurre a inizio legislatur­a per avere un voto in più in Capigruppo... «È difficile che si possano fare delle modifiche chirurgich­e alla legge elettorale in una situazione del genere, se rientra il testo in quest’Aula ognuno ci metterà del suo», dice non senza un certo sconforto Luigi Zanda, che a Palazzo Madama si ritrova a gestire l’unico gruppo rimasto intatto nonostante i distinguo della minoranza bersaniana (ad uscire dal gruppo del Pd è stato solo Corradino Mineo). Quali modifiche all’Italicum potrebbero passare in un’Aula siffatta? Ad occhio - è il ragionamen­to di Zanda - una maggioranz­a si troverebbe solo sul ritorno al premio di coalizione se il Pd nel suo complesso fosse d’accordo. «Ma conviene al Pd?», aggiunge.

Ecco, al Pd non conviene. Almeno al Pd che ha in mente Renzi. Perché il Pd una coalizione non ce l’ha. A meno di non voler “imbar- care” il partito di Alfano, ma con il forte rischio di perdere voti a sinistra. E a meno che non si pensi a una coalizione con quella parte del mondo vendoliano che guarda all’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Le voci sulla disponibil­ità a reintrodur­re il premio di coalizione sembrano dunque avere più che altro lo scopo di tranquilli­zzare l’alleato centrista. Quanto al ballottagg­io, Renzi non ha nessuna intenzione di abbandonar­lo - almeno al momento - perché lo considera, in un sistema ormai tripolare, l’unica garanzia di governabil­ità. La scelta di lasciare l’iniziativa alle opposizion­i serve dunque a separare da un parte il discorso Italicum dal referendum costituzio­nale, e dall’altra a dimostrare che - salvo miracoli - per un’alternativ­a all’Italicum non ci sono i numeri. Certo, se poi al referendum dovessero vincere i No si aprirebbe tutt’altro scenario. Ma questo naturalmen­te il premier e il “suo” Pd non se lo augurano.

ZANDA «È difficile che si possano fare modifiche chirurgich­e in una situazione simile. Se rientra il testo a Palazzo Madama, ognuno ci metterà del suo»

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