Spinta sulla banda ultralarga nelle «aree grigie»
Nelle zone con almeno un operatore ha sede il 69% delle aziende - Il Piano punta a copr ire almeno la metà delle imprese a 100 Mega entro il 2020
pL’argomento è stato inserito nel capitolo delle “infrastrutture abilitanti”. Sulla diffusione della banda ultralarga poggia un pilastro chiave per la riuscita del piano Industria 4.0. La presentazione di ieri al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano non prescinde da questo aspetto anche perché la manifattura intelligente – fatta di Iot, produzione automatizzata e iperconnessa – rischia di rimanere un miraggio senza questa “infrastruttura abilitante”.
Da qui la necessità del decollo della rete a banda ultralarga, vale a dire quella rete che consente velocità di download almeno pari a 30 Mbps: il che per la gran parte vuol dire fibra, anche se sul wireless gli operatori indicano performance non inferiori ai 30 Mega.
Stando al Piano, nel 2020 almeno la metà delle imprese italiane dovrà essere servita da reti a 100 Mega e tutte quante dovranno poter contare almeno su 30 Mega. Raggiungere questo obiettivo, lo ha spiegato con chiarezza il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, significa concentrarsi «sulle aree grigie, quelle in cui risiede il 69% delle imprese».
Le aree grigie sono quelle dove lo Stato non può intervenire in modo diretto per la realizzazione della rete internet superveloce. Qui c’è un unico operatore, che opera perlopiù in rame. Zone del Paese insomma, a metà fra le aree nere dove in campo c’è già più di un operatore e quelle a “fallimento di mercato”, vale a dire le cosiddette aree “bianche” dove lo Stato sta investendo 3 miliardi (i primi bandi sono partiti per il 92% delle risorse a disposizione nel Piano banda ultralarga) nella convinzione che altrimenti i privati non lo farebbero. In definitiva nelle aree bianche ha sede il 23% delle imprese, in quelle nere l’8% e in quelle grigie il 69 per cento.
Da qui la necessità di intervenire con investimenti pubblici per mobilitare anche risorse private con una serie di misure che, trattandosi di interventi a rischio sanzione Ue in quanto aiuti di Stato, dovranno passare il vaglio di Bruxelles: voucher per l’attivazione dei servizi di connettività, defiscalizzazioni sugli investimenti, accesso agevolato al credito, assegnazione ai privati della proprietà dell’infrastruttura.
Va detto, comunque, che il prosieguo del Piano da questo punto di vista vedrà forse un ridimensionamento delle aree grigie rispetto al panorama attuale, visto che a dicembre partirà un’altra consultazione fra gli operatori per verificare i piani di investimento con all’interno anche i piani di Enel Open Fiber, la cui costituzione è stata successiva all’ultima consultazione. Certo, la situazione in Italia non è delle più floride né sotto il profilo della copertura (solo l’11% di unità immobiliari coperte a 100 Mbps secondo gli ultimi dati riportati sul sito web del Piano stra- tegico banda ultralarga), né sotto quello della velocità (secondo Akamai l’Italia è 54esima nel mondo per velocità media di connessione internet, pari a 8,2 Mbps).
Dall’altra parte, un primo banco di prova per il Piano nazionale sulla banda ultralarga arriverà con i primi due bandi Infratel, per la costruzione di una rete pubblica da dare in gestione per 20 anni nelle aree a fallimento di mercato. Il 17 ottobre è il termine che i sei soggetti prequalificati – Telecom, Fastweb, Metroweb, Enel Open Fiber, Estra e un raggruppamento di imprese fra Retelit, Eolo ed Eds – hanno per presentare le loro offerte sul primo bando. Ricorsi permettendo.