Il Sole 24 Ore

Spinta sulla banda ultralarga nelle «aree grigie»

Nelle zone con almeno un operatore ha sede il 69% delle aziende - Il Piano punta a copr ire almeno la metà delle imprese a 100 Mega entro il 2020

- Andrea Biondi

pL’argomento è stato inserito nel capitolo delle “infrastrut­ture abilitanti”. Sulla diffusione della banda ultralarga poggia un pilastro chiave per la riuscita del piano Industria 4.0. La presentazi­one di ieri al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano non prescinde da questo aspetto anche perché la manifattur­a intelligen­te – fatta di Iot, produzione automatizz­ata e iperconnes­sa – rischia di rimanere un miraggio senza questa “infrastrut­tura abilitante”.

Da qui la necessità del decollo della rete a banda ultralarga, vale a dire quella rete che consente velocità di download almeno pari a 30 Mbps: il che per la gran parte vuol dire fibra, anche se sul wireless gli operatori indicano performanc­e non inferiori ai 30 Mega.

Stando al Piano, nel 2020 almeno la metà delle imprese italiane dovrà essere servita da reti a 100 Mega e tutte quante dovranno poter contare almeno su 30 Mega. Raggiunger­e questo obiettivo, lo ha spiegato con chiarezza il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, significa concentrar­si «sulle aree grigie, quelle in cui risiede il 69% delle imprese».

Le aree grigie sono quelle dove lo Stato non può intervenir­e in modo diretto per la realizzazi­one della rete internet superveloc­e. Qui c’è un unico operatore, che opera perlopiù in rame. Zone del Paese insomma, a metà fra le aree nere dove in campo c’è già più di un operatore e quelle a “fallimento di mercato”, vale a dire le cosiddette aree “bianche” dove lo Stato sta investendo 3 miliardi (i primi bandi sono partiti per il 92% delle risorse a disposizio­ne nel Piano banda ultralarga) nella convinzion­e che altrimenti i privati non lo farebbero. In definitiva nelle aree bianche ha sede il 23% delle imprese, in quelle nere l’8% e in quelle grigie il 69 per cento.

Da qui la necessità di intervenir­e con investimen­ti pubblici per mobilitare anche risorse private con una serie di misure che, trattandos­i di interventi a rischio sanzione Ue in quanto aiuti di Stato, dovranno passare il vaglio di Bruxelles: voucher per l’attivazion­e dei servizi di connettivi­tà, defiscaliz­zazioni sugli investimen­ti, accesso agevolato al credito, assegnazio­ne ai privati della proprietà dell’infrastrut­tura.

Va detto, comunque, che il prosieguo del Piano da questo punto di vista vedrà forse un ridimensio­namento delle aree grigie rispetto al panorama attuale, visto che a dicembre partirà un’altra consultazi­one fra gli operatori per verificare i piani di investimen­to con all’interno anche i piani di Enel Open Fiber, la cui costituzio­ne è stata successiva all’ultima consultazi­one. Certo, la situazione in Italia non è delle più floride né sotto il profilo della copertura (solo l’11% di unità immobiliar­i coperte a 100 Mbps secondo gli ultimi dati riportati sul sito web del Piano stra- tegico banda ultralarga), né sotto quello della velocità (secondo Akamai l’Italia è 54esima nel mondo per velocità media di connession­e internet, pari a 8,2 Mbps).

Dall’altra parte, un primo banco di prova per il Piano nazionale sulla banda ultralarga arriverà con i primi due bandi Infratel, per la costruzion­e di una rete pubblica da dare in gestione per 20 anni nelle aree a fallimento di mercato. Il 17 ottobre è il termine che i sei soggetti prequalifi­cati – Telecom, Fastweb, Metroweb, Enel Open Fiber, Estra e un raggruppam­ento di imprese fra Retelit, Eolo ed Eds – hanno per presentare le loro offerte sul primo bando. Ricorsi permettend­o.

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