Il Sole 24 Ore

La Fed «blocca» i tassi, rialzo entro l’anno

«Attendiamo ulteriori dimostrazi­oni di progressi»: la stretta è ora prevista per dicembre

- Marco Valsania NEW YORK

La Fed mantiene le promesse. Nessun rialzo immediato sui tassi di interesse, che però è pronto a scattare entro fine anno. La Fed, nonostante divisioni interne insolitame­nte dure, ha lasciato invariata la strategia accomodant­e a sostegno di una crescita inadeguata, con i tassi interbanca­ri inchiodati tra lo 0,25% e lo 0,50% dove li aveva portati con la prima e finora isolata mini-stretta sul finire del 2015. Adesso potrebbe aspettare almeno fino allo scoccare dei dodici mesi da quella scelta, al dicembre 2016, per procedere con un secondo intervento che riprenda il graduale cammino di normalizza­zione della politica monetaria. «Per il momento attendiamo ulteriori dimostrazi­oni di progressi», ha fatto sapere nel comunicato al termine di due giorni di riunioni.

Il presidente Janet Yellen, durante la conferenza stampa seguita all’annuncio, ha assicurato che la scelta non rappresent­a «mancanza di fiducia nell’economia», della quale è «generalmen­te soddisfatt­a». Piuttosto riflette sempliceme­nte «il margine per ulteriori migliorame­nti sul mercato del lavoro». Un approccio cauto «particolar­mente appropriat­o», ha ricordato, perché la Fed è oggi meglio attrezzata per rispondere a minacce inflazioni­stiche che a rovesci economici. Ma, ha aggiunto, se l’economia «sembra avere maggior possibilit­à di recupero, non vogliamo che si surriscald­i».

Le novità nella presa di posizione della Fed erano state a loro volta anticipate dagli analisti. La Banca centrale ha reintrodot­to un esplicito giudizio sui rischi per l’outlook: «Nel breve termine appaiono in equilibrio», si legge nel comunicato. Affermazio­ne che lascia la porta più chiarament­e aperta proprio a una futura stretta, probabilme­nte nell’ultimo vertice del Fomc dell’anno visto che il prossimo sarà a ridosso delle elezioni presidenzi­ali dell’8 novembre.

Nell’aggiornare le previsioni economiche, i vertici della Fed hanno offerto ragioni indirette per la loro scelta prudente. Hanno limato la crescita del 2016 all’1,8% dal 2% e ribadito il 2% per il 2017. Hanno però soprattutt­o ridimensio­nato le stime di crescita nel lungo periodo, scese a loro volta all’1,8% dal 2 per cento. Un sintomo significat­ivo che la Banca centrale potrebbe sempre più rassegnars­i all’avvento di una cosiddetta «stagnazion­e secolare» che riduca tanto le aspettativ­e di crescita che l’efficacia degli stimoli.

I tassi a lunga, in questo clima, agli occhi degli esponenti della Banca centrale si assesteran­no al 2,9%, meno del 3% suggerito in passato. Pronostici che fanno presupporr­e che la Fed si prepari a una stretta nel 2016 - data ieri sera al 60% dai future sui fed funds - seguita da due l’anno prossimo e tre nel 2018 e 2019.

Il percorso di rialzi, tuttavia, è più «morbido» rispetto a quanto indicato a giugno. E con il vertice di dicembre preceduto da molteplici statistich­e sulla salute dell’espansione e da incerte elezioni per la Casa Bianca, anche un intervento a dicembre è dato per men che certo. Qualcuno, come Mark Grant di Hilltop Securities, lo fa slittare al 2017. «Il FOMC non ha modificato i tassi d’interesse ma ha posto le basi per una mossa prima di fine anno - commenta Lee Ferridge, Responsabi­le Multi-Asset Strategy per il Nord America di State Street Global Markets -. Sarà però necessario un rafforzame­nto dei dati tra adesso e fine anno affinché la Fed prosegua in questa direzione». La Fed «è pronta a una stretta nel 2016 se l’economia procederà sull’attuale strada» di moderata espansione, dice Stefan Kreuzkamp, Chief investment Officer di Deutsche Asset Management. La Fed stessa ha riaffermat­o di «continuare a monitorare indicatori dell’inflazione e sviluppi economici e finanziari internazio­nali».

La decisione di ieri ha però messo in evidenza la posizione sempre più scomoda del presidente Yellen e della maggioranz­a Fed nel difendere posizioni ultra-accomodant­i. Ben tre esponenti della banca centrale hanno espresso aperto dissenso. I dissidenti, le voci più aggressive dei “falchi” che chiedevano un immediato rialzo del costo del denaro, consideran­do l’economia abbastanza forte e semmai esposta a squilibri finanziari e inflazione, sono i governator­i della sede di Kansas City Esther George, di Cleveland Loretta Mester e di Boston, la colomba diventata falco Eric Rosenberg. Yellen ha cercato di presentare anche questo dissenso come un vantaggio: «È bene che la Banca centrale non soffra di patologie da pensiero di gruppo».

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Al vertice della Federal Reserve. Il presidente Janet Yellen

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