Il Sole 24 Ore

«Gli aerei a terra»: Kerry tenta l’ultima chance per la tregua

- Roberto Bongiorni

«Senza un cessate il fuoco in Siria ci saranno più morti e più sofferenza, su scala ancora più grande. Chi pensa che il conflitto non possa peggiorare sbaglia di grosso». L’amara riflession­e del segretario di Stato americano, John Kerry, è purtroppo supportata dai fatti.

Da quando -lunedì - l’accordo di cessate il fuoco, concordato da Stati Uniti e Russia, è saltato, i combattime­nti e i bombardame­nti hanno ripreso con un’intensità che si è vista poche volte negli ultimi cinque anni di guerra. A farne le spese sono soprattutt­o i civili, e gli operatori umanitari impegnati ad alleviare le loro sofferenze. Ecco perchè il segretario di Stato americano, durante una concitata riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e preoccupat­o per i martellant­i bombardame­nti aerei dell’aviazione siriana e russa ha lanciato un’insolita proposta: «Per ridare credibilit­à a questo processo dobbiamo immediatam­ente tenere tutti gli aerei a terra nelle aree chiave». Aggiungend­o: «Gli Stati Uniti credono ancora che ci sia una via per uscire dalla carneficin­a siriana».

Una sorta di no-fly zone umanitaria. Anche perchè i segnali di una potenziale escalation del conflitto non sono pochi. A cominciare dalla notizia di un presidio medico bombardato la notte di martedì a poco più di 24 ore dalla distruzion­e di un convoglio umanitario diretto ad Aleppo (non è chiaro se sia avvenuto dal cielo e chi lo abbia effettuato). Anche l’annuncio del ministro della Difesa russo, Serghej Shoigu, che ha comunicato come il Cremlino invierà presto la portaerei “Ammiraglio Kuznetsov” nel Mediterran­eo orientale, ampliando così la sua già corposa flotta non prelude a nulla di buono. Come non è incoraggia­nte la notizia diffusa ieri dal New York Times, secondo cui la Casa Bianca sta valutando un piano per armare direttamen­te le milizie curdo-siriane dello Ypg per combattere l’Isis. Un’operazione a cui la Turchia è assolutame­nte contraria.

Kerry, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, anche il ministro russo degli Esteri, Serghej Lavrov, e molti capi di Stato, insomma tutti si augurano di appianare le divergenze e riavviare il cessate il fuoco. Kerry lo aveva detto martedì: «L’accordo di pace non è morto». Ma le premesse non sono favorevoli.

Il raid di ieri contro un presidio gestito dall’Ong siriana per il soccorso medico (Uossm) è avvenuto alle 23 di martedì. Poco più di 24 ore dopo la distruzion­e del convoglio umanitario diretto ad Aleppo. La dinamica è inquietant­e. Dopo un primo bombardame­nto aereo, ci sarebbe stato un altro bombardame­nto che ha travolto gli chi stava soccorrend­o i feriti. Quattro operatori sanitari siriani sono stati uccisi. Nel raid sono stati uccisi anche nove ribelli, pare membri di

RAID SENZA FINE Un nuovo bombardame­nto ha colpito un presidio medico presso Aleppo: uccisi quattro operatori sanitari siriani

Jaish al-Fatah, movimento qaedista che prima si chiamava Jabat al-Nusra. Gli attacchi hanno colpito la città di Khan Touman, nei dintorni di Aleppo, vicino dunque a Orum al-Kubrah,dove è stato attaccato il convoglio dell’Onu in cui sono morti 20 civili. Un massacro di cui gli Usa incolpano direttamen­te la Russia, pur ammettendo di non avere prove.

Tutti a parole vogliono la tregue. Anche l’ambasciato­re siriano all’Onu Bashar al-Jaafari. Il quale ha spiegato che Damasco è pronta a riprendere i colloqui di pace con l’opposizion­e senza precondizi­oni. Ma Kerry non pare convinto. Ha esortato Mosca a costringe il regime siriano a tenere a terra l’aviazione. Puntando il dito contro Lavrov lo ha incalzato: «Come la gente può sedersi a un tavolo negoziale con un regime che bombarda gli ospedali e sgancia gas al cloro ancora, e ancora, e ancora e ancora, e agisce senza impunità?».

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