Il Sole 24 Ore

I tormenti della sinistra Pd su Italicum e referendum: né con Renzi né con D’Alema

- di Lina Palmerini

Non hanno votato contro ma non hanno partecipat­o alle votazioni. La minoranza Pd ha risposto con un nuovo “ni” alla mozione con cui si impegnano le Camere a modificare l’Italicum. Potevano sbandierar­la come una loro vittoria, almeno parziale, avendo costretto Renzi ad aprire ai cambiament­i e invece hanno preferito restare nel limbo. È vero, nella mozione che è passata ieri a Montecitor­io manca un punto per loro dirimente – tornare a regole che confermino la forma di governo parlamenta­re - ma è un concetto che ormai viene oscurato dalla tattica estenuante del “dipende”. Sta assumendo forme talmente macchietti­stiche rin- viare il momento del “sì” e del “no” che è diventato un pezzo forte delle parodie di Crozza su Pierluigi Bersani.

Perché è questo il nocciolo della questione: sottrarsi al voto di ieri alla Camera significa prendere ancora tempo sulla scelta definitiva riguardo al referendum. Che a questo punto non riguarda solo la riforma costituzio­nale ma si è trasformat­a in una scelta di campo tra i due leader del “sì” e del “no” che si combattono nel Pd. Da una parte c’è Renzi e dall’altra D’Alema. Ecco, la minoranza sembra finita in quell’angolo che si chiama “né con Renzi né con D’Alema”. E ora non è per niente facile ritagliars­i uno spazio politico che traduca questa terza via. Quello che co- municano più che un posizionam­ento è un disagio, un imbarazzo.

Il fatto è che l’ex ministro degli Esteri è stato più veloce a schierarsi sul referendum, si è lasciato indietro i bersaniani e ora un loro “no” tardivo e sofferto li riportereb­be dentro la sua sfera di influenza politica. Ha occupato quel posto prima e con tutta una serie di consideraz­ioni su cui la sinistra Pd arriverebb­e tardi. Mentre loro si perdono nelle tattiche parlamenta­ri uscendo dall’Aula e non votando, D’Alema ha già detto tutto contro l’Italicum, contro Renzi e contro la riforma Boschi. Lui si è esposto in modo chiaro mentre la minoranza prendeva tempo. A questo punto è difficile dire cosa sia meglio per loro: se farsi dare una mano dal mondo renziano e dimostrare che il negoziato ha dato qualche frutto, o convergere sull’ex premier accettando la sua leadership nella battaglia contro il premier. Il che vuol dire che potrebbe essere D’Alema a dare le carte nella futura sfida congressua­le.

Nella minoranza, anche ieri, si discuteva di queste due opzioni senza arrivare a una completa unità, come ha dimostrato anche il voto sulla mozione dove vi sono stati dei dissidenti. Perché uno degli effetti collateral­i del dire “ni” è che si rischia di perdere man mano i pezzi. E infatti la scelta di ieri è il frutto anche della difficoltà di mantenere unita un’area. Lo ammette Andrea Giorgis, deputato e professore di diritto costituzio­nale, che ha le sue fondate obiezioni sull’Italicum e su come distorce la forma di governo parlamenta­re attribuend­o al voto popolare la scelta sull’Esecutivo, ma non dispera ancora sul risultato del negoziato con Renzi. Lui dice che la scelta di ieri non è ostile e corrispond­e al tentativo di tenere – tutti insieme - aperto un dialogo ma all’esterno tutti scommetton­o che cadranno tra le braccia di D’Alema. Che ovviamente sono aperte.

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