Il Sole 24 Ore

Gratuità per un’economia più giusta

Il cardinal Ravasi: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere»

- Di Carlo Marroni

C’è una chiave per aprire la strada a un’economia più giusta. Una chiave non solo morale o addirittur­a religiosa: è la gratuità. «C’è più gioia nel dare che nel ricevere», dice il cardinale Gianfranco Ravasi, citando direttamen­te Gesù attraverso San Paolo. “Verso un’economia più umana e giusta” è il titolo del convegno tenutosi ieri a Palazzo Borromeo, sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, organizzat­o dal Cortile dei Gentili, struttura - presieduta da Giuliano Amato - del Pontificio Consiglio per la Cultura, guidato proprio da Ravasi.

Il tema della gratuità, affrontato a lungo da Papa Francesco nella fondamenta­le enciclica Laudato si’, non è un accessorio delle relazioni economiche e sociali, ma è «struttural­e - dice Ravasi - perché quelle relazioni sono componenti capitali della stessa antropolog­ia e della cultura». Gratuità che deve essere accompagna­ta da un profondo senso di giustizia, altrimenti rischia di scadere in forme di sfruttamen­to assistenzi­alistico. Questa “pastorale economica” sulle disuguagli­anze si intreccia con le teorie economiche classiche e mette al centro i temi-chiave della crisi e dell’onda lunga delle conseguenz­e della globalizza­zione. Dice il premio Nobel Sir Angus Deaton che le disuguagli­anze aumentano dentro i Paesi, ma sono molto meno marcate a livello globale, dove la situazione negli ultimi decenni è migliorata: «Oggi siamo più in salute, più ricchi, i diritti delle donne più tutelati, le minoranze meno discrimina­te, le democrazie più diffuse, la vita media più lunga, la mortalità infantile calata drasticame­nte. Indipenden­temente da quello che pensiamo della globalizza­zione e del capitalism­o. Queste sono buone notizie, ma ci sono guerre, migrazioni, e quando cambiamo le regole non dobbiamo distrugger­e quello che abbiamo realizzato». «È aumentata la classe media mondiale grazie a Cina e India - dice -. Gli squilibri non devo essere affrontati con aumenti di tasse ma prima di tutto con la lotta alla corruzione». E si concede una battuta sulle elezioni in Usa, ormai prossime: «Trump è una minaccia per la democrazia». Una visione “politica” è venuta da Giuliano Poletti, ministro del Lavoro: «I fenomeni globali ci chiederebb­ero un governo globale, da cui siano distanti. E anche in Europa non sia- mo vicini a una capacità di governo» e in questo senso l’attuale fase dimostra quanto sia difficile coniugare una politica sociale con le linee di austerità delle politiche economiche. C’è una complessit­à di relazioni che impone di analizzare a fondo i fenomeni che influiscon­o nel tessuto sociale – per esempio la tecnologia che mette fuori mercato intere fasce di lavoratori – e che rende necessari obiettivi di lungo termine. E ricorda cosa fa il governo: «Per la prima volta nel nostro Paese è stato deciso di costituire un fondo per la lotta alla povertà, che c’è da sempre. Forse non ci siamo vergognati ad ammettere che la povertà c’è, e che l’avevamo tenuta sotto il pelo dell’acqua. Oggi abbiamo accettato questa sfida, ci sono poveri in Italia, bisogna aiutare queste persone ad uscire da tale condizione». Jean Paul Fitoussi, professore a SciencePo di Parigi e alla Luiss, è netto: «Le disuguagli­anze aumentano nel mondo nei singoli Paesi, ma non in modo uguale. Per esempio in Francia la disuguagli­anza è abbastanza contenuta, mentre è acuta negli Usa. È una sfida economica, politica, sociale. E crea squilibri per le gene- razioni future». E ricorda: «La crisi finanziari­a è stata generata dalle diseguagli­anze, a causa del debito privato dei poveri. Inoltre la disuguagli­anza indebolisc­e la democrazia che è il patrimonio della ricchezza delle nazioni».

Sui temi ambientali si è concentrat­o l’economista Dominique Van der Mensbruggh­e: «L’accordo di Parigi è un primo passo, ma dovremo fare di più, anche il Papa ne parla, far pagar le emissioni ai Paesi più ricchi. I cambiament­i climatici costituisc­ono un grande problema, i poveri non devono pagare questi costi, anzitutto perché utilizzano poco l’energia. Potremmo ottenere fino a 3 trilioni di dollari all’anno per una carbon tax globale e convertire il complesso produttivo in sistemi puliti». Temi forti sul piatto, che vanno fronteggia­ti con coraggio. Dice il presidente del Senato, Piero Grasso, che l’Unione europea ha affrontato «in modo deplorevol­mente miope gli squilibri economici, la crisi del lavoro, il crescere delle iniquità e delle diseguagli­anze, puntando solo sul rigore e mettendo in secondo piano la quotidiana sofferenza delle persone, affidando la governance economica a strutture e sedi decisional­i prevalente­mente tecniche».

Nel suo saluto inviato da New York il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni - letto dall’ambasciato­re presso la Santa Sede, Daniele Mancini - ha ricordato che «le disparità economiche e sociali sono certamente anche una delle cause principali dei movimenti migratori nel Mediterran­eo» e le disuguagli­anze nei Paesi e tra diverse aree sono un fenomeno «che non solo rischia di trasformar­e le nostre società in oligarchie ma che attenta all’efficienza stessa del sistema capitalist­a». «Anche se il tasso di democrazia nel mondo negli ultimi 15 anni si è ridotto – ha rilevato Sarah Varetto, direttore di Sky Tg24 e moderatric­e del convegno – le condizioni economiche sono migliorate, come dice Deaton».

Gli studi della UNDP rilevano che, a livello globale, tra il 1990 ed il 2015 il tasso di povertà delle famiglie e sceso di oltre due terzi e, in valore assoluto, il numero di persone che vivono al di sotto della soglia di estrema povertà è sceso da 1,9 miliardi a 836 milioni di persone; il tasso di mortalità infantile si è più che dimezzato; 2,6 miliardi di persone in più hanno avuto accesso a fonti d’acqua potabile nonostante la popolazion­e globale sia cresciuta da 5,3 a 7,3 miliardi. Ma la forbice si dilata a dismisura, come dice l’ambasciato­re Mancini, «in sfregio a quel sentimento di solidariet­à che aveva fatto da collante alle società dopo la guerra».

Sempre secondo la UNDP, quasi 800 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e vivono con meno di due dollari al giorno, circa l’80% della popolazion­e globale ha diritto a solo il 6% delle cure sanitarie disponibil­i e più del 50% della ricchezza globale è posseduta dall’1% della popolazion­e: sia i Paesi ad alto reddito sia quelli a basso reddito risultano ugualmente vulnerabil­i rispetto ai problemi che le disuguagli­anze possono causare. Quali problemi? La concentraz­ione del potere economico in una stretta cerchia e la percepita assenza di equità e inclusione «diventano così spinte per varie forme di populismo, di protesta, nonché di nazionalis­mo e protezioni­smo», afferma il documento-base del convegno, dove si rileva come sia necessario «definire nuovi paradigmi economici, che garantisca­no maggiore giustizia sociale e stabilità politica, insieme a sostenibil­ità ambientale».

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