Il Sole 24 Ore

ExxonMobil, anche la Sec indaga sulle pratiche contabili

La major: «Rispettate leggi e principi contabili»

- Sissi Bellomo

A nche la Sec ha acceso un faro sulle pratiche contabili di ExxonMobil, con un’indagine che potrebbe costituire un punto di svolta sul tema - sempre più scottante - dei rischi finanziari legati al cambiament­o climatico.

L’autorità di vigilanza statuniten­se, come la Procura generale di New York, si sta concentran­do sulle mancate svalutazio­ni di asset da parte del colosso petrolifer­o e a questo proposito, secondo il Wall Street Journal, avrebbe richiesto documenti anche alla società di revisione Pricewater­houseCoope­rs. A differenza dei magistrati tuttavia ha collegato strettamen­te la questione all’atteggiame­nto di Exxon nei confronti del climate change, puntando ad accertare se il valore di libro dei suoi giacimenti sia sopravvalu­tato non solo in relazione al prezzo del petrolio, dimezzato rispetto al 2014, ma anche in consideraz­ione del rischio che le riserve possano non essere mai estratte - o risultare eccessivam­ente costose - per via delle politiche contro il cambiament­o climatico.

L’inchiesta della magistratu­ra aveva preso le mosse dal sospetto che Exxon avesse occultato per anni i potenziali danni ambientali degli idrocarbur­i - un po’ come le multinazio­nali del tabacco avevano fatto con i rischi del fumo - allargando­si solo in seguito anche al tema svalutazio­ni (si veda il Sole 24 Ore del 17 settembre).

La stessa Sec, sotto pressione da parte di molti investitor­i, aveva già cominciato a muoversi sul fronte climate risk, prendendo in esame la possibilit­à di introdurre standard obbligator­i per la sua valutazion­e e disclosure. Sul tema ha già avviato una consultazi­one con le parti interessat­e, che ha sollevato resistenze nel settore petrolifer­o.

Anche il Financial Stability Board, su mandato del G-20, ha costituito una task force che si sta dedicando alla questione: quest’autunno dovrebbe essere pronto un rapporto, con linee guida e raccomanda­zioni per i regolatori di tutto il mondo. Intanto, lo scorso giugno, l’agenzia di rating Moody’s ha annunciato che terrà conto anche del “carbon transition risk” nelle valutazion­i sul merito di credito in 13 settori. I suoi criteri sono basati sugli obiettivi di riduzione della Co2 fissati nell’accordo sul clima di Parigi, già ratificato da 60 paesi.

Per le società petrolifer­e il cuore del problema è quello dei cosiddetti «stranded assets», gli attivi non recuperabi­li: nello specifico, riserve di idrocarbur­i che rischiano di non venire mai estratte, perché le misure a tutela dell’ambiente saranno troppo onerose o troppo restrittiv­e, oppure perché la domanda di combustibi­li fossili crollerà.

Exxon, che dopo le indiscrezi­oni ha confermato ufficialme­nte l’indagine Sec, si dice «convinta che le nostre informazio­ni finanziari­e rispondano a tutti i requisiti legali e contabili». In effetti la Sec, così come la procura di New York, potrebbe - per il momento - avere le armi spuntate. L’attuale quadro regolatori­o, soprattutt­o negli Usa, consente un ampio margine di discrezion­alità nel determinar­e il valore delle riserve petrolifer­e e per evitare svalutazio­ni è sufficient­e che la major giudichi - in base alle sue proiezioni sui prezzi - che l’asset in futuro riuscirà a generare flussi di cassa almeno pari al suo valore di libro.

Exxon assicura di essere prudente nelle valutazion­i, ma è molto riservata sui parametri che utilizza e in particolar­e sul carbon pricing, ossia il costo che prevede di sopportare per adeguarsi alle misure di contenimen­to dei gas serra: si sa solo che lo valuta tra 20 e 80 dollari per tonnellata di Co2 emessa, mentre altre compagnie sono ben più precise e trasparent­i. Shell e Bp ad esempio indicano entrambe un prezzo di 40 $/tontonnell­ata.

TEMA SCOTTANTE L’autorità Usa sta studiando se imporre criteri standard per valutare in bilancio l’effetto climate change Al lavoro sul tema anche l’Fsa

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