Il Sole 24 Ore

Ricorsi contro Equitalia al test del «ne bis in idem»

- Enrico Holzmiller

pUscendo dall’alveo esclusivam­ente penalistic­o, la giurisprud­enza si è recentemen­te concentrat­a - spesso con esiti contrastan­ti - sull’esistenza e sui limiti del principio del « ne bis in idem » nell’ambito del rapporto tra contenzios­o tributario e procedimen­to penale.

In ambito internazio­nale grande rilievo per il nostro ordinament­o ha avuto la sentenza “Grande Stevens vs Italia” emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ribadito l’alternativ­ità tra penale e tributario. Più recentemen­te, sul punto si è espressa la Corte costituzio­nale che, con la sentenza n. 200/2016, ha sancito l’importanza del fatto storico quale principale elemento rilevante ai fini di verificare l’esistenza o meno della duplicazio­ne dei procedimen­ti.

Un’ulteriore applicazio­ne del divieto del ne bis in idem si sta facendo strada in ambito “esclusivam­ente” tributario, e in particolar­e quando la potenziale duplicazio­ne avviene nell’ambito di contenzios­i interessat­i da avvisi di accertamen­to e, successiva­menmte, da cartelle di pagamento e/o altri atti derivanti dai primi.

Tale applicazio­ne del principio - sulla quale la Ctp di Milano risulta particolar­mente attiva - pare indubbiame­nte interessan­te, perché abbandona l’iniziale matrice penalistic­a per una applicazio­ne esclusivam­ente “amministra­tivo-fiscale”.

La ratio è ben delineata nella recente sentenza n. 5686/16 emessa dalla Ctp di Milano, depositata lo scorso 21 giugno, secondo la quale «il divieto del ne bis in idem ha la finalità di evitare che sulla stessa questione si formino più decisioni che creino un conflitto di giudicati, quindi tale principio si applica anche nel processo tributario».

Particolar­mente interessan­te pare lo sviluppo logico desumibile da un’altra recente sentenza emessa della stessa Commission­e tributaria, la n. 5461/25/16 depositata il 22 giugno. Il caso vedeva Equitalia quale contropart­e opposta al contribuen­te, in un contenzios­o avente a oggetto avvisi di intimazion­e ad adempiere. In tale ambito, Equitalia aveva richiesto l’inammissib­ilità del ricorso della contropart­e per violazione del ne bis in idem.

I giudici, dopo aver convenuto per l’applicabil­ità del principio nell’ambito del processo tributario, hanno rilevato che le cartelle di pagamento e gli avvisi di accer- tamento prodromici all’atto impugnato erano stati oggetto di altri precedenti ricorsi, già decisi con sentenze della stessa Ctp di Milano. La Commission­e quindi, richiamand­o la sentenza di Cassazione n. 15441/2010, ha ricordato che occorre sempre procedere a una verifica dei rapporti che possono intercorre­re tra i ricorsi introdutti­vi (tempestiva­mente) proposti, ancorchè in tempi differenti, e i giudizi da essi rispettiva­mente scaturiti.

A seguito di tale percorso logico, i giudici milanesi hanno ritenuto sussistent­i le condizioni per la declarator­ia di inammissib­ilità del ricorso per violazione del ne bis in idem.

La sentenza commentata non fa alcun riferiment­o specifico circa la definitivi­tà dei precedenti contenzios­i fiscali (rispetto a quello trattato). Tale dubbio dovrebbe potersi sciogliere con una risposta positiva, atteso che uno dei punti cardine per l’applicazio­ne del principio risiede nella “definitivi­tà” dei precedenti procedimen­ti. Stante il fatto che i giudici hanno inteso esplicitar­e l’esistenza di sentenze di primo grado di giudizio alla base dell’applicazio­ne del divieto del ne bis in idem, ciò dovrebbe significar­e che il contribuen­te, nel caso di specie, non aveva ritenuto di proporre ricorso in secondo grado.

Sullo stesso solco si richiama un’altra recentissi­ma sentenza (n. 5446/22/16), sempre emessa dalla medesima Ctp, depositata lo scorso 21 giugno. In tale caso i giudici hanno ritenuto valide le doglianze di Equitalia, la quale aveva eccepito che la cartella esattorial­e oggetto del contendere era già stata oggetto di precedente giudicato da parte di altra Commission­e tributaria provincial­e, la quale aveva dichiarato l’inammissib­ilità del ricorso.

L’ORIENTAMEN­TO Il divieto vale anche quando la potenziale duplicazio­ne riguarda contenzios­i su avvisi di accertamen­to e cartelle di pagamento

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