Le sfide ambiziose da mettere in pratica
Il Governo e in particolare il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, hanno presentato il “Piano Nazionale industria 4.0: investimenti, produttività, innovazione” che per brevità denomineremo Mise 4.0. Ci vorrà un po’ di tempo per valutarne la struttura, la portata e la fattibilità ma sin d’ora si possono evidenziare vari aspetti interessanti che ricollocano l’industria e la manifattura al centro della politica economica italiana.
L’Europa e l’Italia dovevano e devono rafforzare l’integrazione della proprie economie attraverso una grande politica centrata su investimenti, infrastrutture, innovazione, industria. È il “paradigma delle 4.i” di cui industria 4.0 è parte essenziale ma non esaustiva come dimostra il caso tedesco molto avanti in industria 4.0 ma in ritardo nel rinnovo delle proprie infrastrutture per allinearle ai migliori standard. Ciò detto ritorniamo a Mise 4.0 per tre commenti: sul metodo, sul merito, sul modello.
Metodo: regia condivisa. La definizione di industria 4.0 non è codificata in termini univoci ma viene espressa in via di sintesi da Mise 4.0 come insieme di connessioni tra sistemi produttivi fisici e digitali caratterizzato da nove filiere che vanno dai robot collaborativi interconnessi e rapidamente programmabili (advanced manufacturing solutions) fino all’analisi e gestione veloce di grandi quantità di dati per ottimizzare prodotti e processi produttivi (big and smart data).
Di industria 4.0 si parla in Italia da anni ma in sedi istituzionali statuali solo nel 2016 sono apparsi documenti organici e chiari al proposito. Uno è l’indagine conoscitiva, pubblicata nel giugno, su « Industria 4.0 » della Commissione Attività produttive della Camera che ha indagato quale sia il modello da applicare al tessuto industriale italiano con la individuazione degli strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali. L’altro è, appunto, Mise 4.0.
Èmolto importante notare come sia il Parlamento che il Governo si siano trovati d’accordo sull’urgenza e la centralità del tema andando anche a confrontare i vari modelli utilizzati in altri Paesi europei ed extraeuropei. Molte sono le convergenze tra i due progetti così dimostrandosi che ci sono degli interessi oggettivi del sistema Italia sui quali si è creato anche il consenso degli imprenditori e dell’industria che hanno accolto con favore il Mise 4.0.
Un secondo aspetto di metodo riguarda la cosidetta “Cabina di regia” del Mise 4.0 per un partenariato pubblicoprivato. Qui abbiamo l’impressione che si debba chiarire di più perché i soggetti coinvolti sono davvero molti e poco gerachizzati, almeno per quanto si capisce dalla presentazione fatta nei giorni scorsi. Condivisione e collaborazione sono essenziali ma non devono diventare pletoriche. Per esemplificare mentre vediamo chiaramente il ruolo del Mise e del Cnr la cui collaborazione può e deve essere potenziata, riteniamo che il coinvolgimento delle imprese e dei sindacati possa esprimersi solo in loro rappresentanze dotate di specifiche competenze. In Germania la collaborazione tra Governo, Centri di ricerca e di formazione, Confindustria e sindacati funziona bene anche perché i raccordi sono da decenni costanti. Prima di pensare che il modello cooperativo tedesco sia applicabile in Italia è necessario svolgere un’approfondita analisi di quali siano i profili organizzativi da mettere a punto e quali le selezioni.
Merito: fiscalità, risorse, finalità. Il Mise 4.0 presenta parecchie innovazioni “organizzative”. La prima innovazione è la logica del partenariato pubblico-privato. Con l’impegno e l’impiego di 13 miliardi di risorse pubbliche si punta a mobilitare 24 miliardi di risorse private per un totale di 37 miliardi. Il periodo di Piano è il 2017-2020 anche se una parte delle risorse pubbliche riguardano anni fino al 2024.
La seconda innovazione per rendere possibile questo moltiplicatore sulle risorse private è l’abbandono degli incentivi a bando e il passaggio agli incentivi fiscali orizzontali valorizzando, come ha detto Calenda, gli strumenti che negli ultimi anni hanno funzionato meglio e orientandoli verso il disegno Mise 4.0. La scelta è condivisibile, ma l’attuazione non sarà facile proprio per il raccordo tra fruizione degli incentivi fiscali e attuazione del Mise 4.0.
La terza innovazione è la declinazione degli incentivi fiscali in modo da rendere gli stessi coerenti (in buona parte) con l’attuazione del Mise 4.0. A tal fine l’iperammortamento avrà un’aliquota del 250% per gli investimenti classificati 4.0 e il fondo rotativo imprese avrà una sezione dedicata a investimenti 4.0 in cui la Cdp interviene in pool con le banche. Rimane confermato il superammortamento per un anno e la nuova Sabatini. Da tutto ciò dovrebbero venire 10 miliardi (nel primo anno) di investimenti privati.
La quarta innovazione riguarda una spinta agli investimenti privati in ricerca e sviluppo con un credito di imposta alla ricerca interna che viene portato all’aliquota del 50% (dal 25%) con un massimale per contribuente che passa da 5 a 20 milioni. Da questa misura dovrebbero venire 11,3 miliardi (in 4 anni) di investimenti privati.
La quinta e ultima innovazione riguarda il rafforzamento della finanza di supporto al Mise 4.0, al venture capital e alle start up con varie misure fiscali e risorse dedicate a industrializzazione e brevettazione di progetti innovativi. Dalla misura dovrebbero arrivare 2,3 miliardi (in 4 anni) di investimenti privati.
Modello:specificità italiana. Come si vede Mise 4.0 punta in alto ma non ha sullo sfondo l’aspirazione di emulare il 4.0 tedesco. Questo si chiama realismo perché le differenze tra i due sistemi sono enormi dal punto di vista della governance, della struttura industriale e tecnoscientifica.
Per la governance il Mise 4.0, oltre a quanto già detto, fa bene a non puntare sul dirigismo ma sul coordinamento. Ciò non è facile perché l’industria è in gran parte di Pmi mentre quelle formidabili imprese del IV capitalismo, che a nostro avviso sono in prospettiva la forza dell’Italia, sono ancora poche. Per la tecno-scienza i divari tra le punte di eccellenza e le code di arretratezza sono enormi.
Ciò significa che, al di la dei numeri, la sfida del Mise 4.0 è anzitutto di tipo qualitativo e per questo va apprezzata l’impostazione del Piano che è ambizioso ma non irrealistico.