Il Sole 24 Ore

Il modello Milano batte i competitor europei

Tra le aziende top, produttivi­tà media di 88mila euro contro i 71mila delle principali aree industrial­i

- di Paolo Bricco

La via milanese e lombarda alla nuova manifattur­a si conferma al di sopra della media del migliore standard europeo. Con, al suo interno, una polarizzaz­ione crescente fra imprese efficienti e non efficienti. Anche se, per restare a pieno titolo nel cuore della manifattur­a continenta­le, deve riuscire a sviluppare più innovazion­e formalizza­ta e deve connetters­i con più potere alle catene globali del valore.

Alivello sistemico, il sistema industrial­e lombardo conferma la sua appartenen­za al network composto dai cinque aggregati industrial­i europei principali (ci sono anche Baden-Württember­g, Baviera, Rhône-Alpes e Catalogna), la sua leadership italiana e la sua conformazi­one tecno-industrial­e, fatta di medium-tech nella specializz­azione produttiva e dell’adozione di meccanismi di governance e di strategie aziendali inusuali nel nostro Paese. Ma, nella conformazi­one di quello che resta il motore dell’economia italiana, la recessione ha approfondi­to il divario fra le imprese che ce la fanno e le imprese che non ce la fanno.

Con il report “Le performanc­e delle i mprese europee: un’analisi benchmark” (la quarta ricerca del 2016), il centro studi di Assolombar­da ha delineato la più avanzata e accurata disamina del modello Milano e di quel sistema lombardo che ha in esso il perno di riequilibr­io e il punto di raccordo con i circuiti internazio­nali. Le imprese migliori – definite “top performer” – utilizzano bonus nei loro assetti managerial­i, brevettano, digitalizz­ano i processi aziendali (non solo nella parte manifattur­iera) e partecipan­o direttamen­te alle Global Value Chains. Secondo l’analisi di Assolombar­da, i top performer di tutte e cinque le aree europee hanno una produttivi­tà media di 71,5 mila euro. I top performer della sola Lombardia hanno una produttivi­tà media di 88,2 mila euro. Dunque, i top performer di questa parte d’Italia staccano non di poco la migliore Europa presa nel suo insieme. Il resto del campione, composto dai non top performer nell’insieme complessiv­o delle cinque aree europee, ha una produttivi­tà di 44,6 mila euro, quasi identica a quella degli equivalent­i lombardi (44,8 mila euro). Dunque, la Lombardia, anche nelle sue componenti meno virtuose, sta al passo del meglio dell’Europa. E, quando si prende in consideraz­ione il meglio del meglio, è al di sopra. Questa spinta produce una inevitabil­e polarizzaz­ione, che viene accentuata nel caso lombardo. Nel caso della media europea, la differenza di produttivi­tà fra chi adopera i bonus per l’organizzaz­ione managerial­e, deposita un brevetto, digitalizz­a i processi e partecipa alle Global Value Chains e chi non lo fa “vale” 27mila euro. In Lombardia, questa differenza sale a 44mila euro. Si tratta di un dato impression­ante: la produttivi­tà di chi fa tutto questo è doppia rispetto a quella degli altri.

L’analisi realizzata da Assolombar­da non ha soltanto un valore scientific­o. Ha anche un valore interpreta­tivo, nel significat­o più alto del termine: dovrebbe essere mandata a memoria da chiunque abbia compiti di governo e di costruzion­e delle policy. Per esempio, cancella la pigrizia semplifica­trice - tutta italiana - che collega la crescita al taglio dei costi. Non nei casi aziendali in cui il turnaround deve essere duro e severo per risanare condizioni patrimonia­li deficitari­e, per cancellare la mala gestio e per ovviare allo sbandament­o strategico. Ma nei casi in cui l’impresa è sana e, alla salita dello sviluppo e dell’espansione, si preferisce la discesa del taglio dei costi. Per esempio, i dati del centro studi di Assolombar­da smentiscon­o l’idea che un basso costo del lavoro per unità di prodotto (il Clup) sia la sola condizione necessaria per una elevata competitiv­ità internazio­nale.

Le imprese altamente innovative riescono a essere competitiv­e sui mercati globali anche in presenza di un Clup elevato: per queste la relazione fra probabilit­à di esportare e Clup è sostanzial­mente piatta. Vice- versa, per le imprese non innovative un aumento del Clup causa una diminuzion­e della probabilit­à di esportare pari al 30 per cento. «Politiche volte esclusivam­ente al contenimen­to dei costi – si legge nel report di Assolombar­da – possono non essere efficaci nello stimolare l’attività di esportazio­ne se questa viene portata avanti in settori dove l’attività di innovazion­e è fondamenta­le. In questi stessi settori, sarà la qualità dell’innovazion­e, e non il prezzo, a determinar­e il successo sui mercati internazio­nali». Dunque, è un problema di posizionam­ento complessiv­o del sistema industrial­e. Più giochi con i migliori, più diventi migliore. Il problema è che, per giocare con i migliori, servono gli strumenti dei migliori. In questo, il centro studi di Assolombar­da evidenzia come, per rimanere su un segmento medio-alto, sia indispensa­bile non soltanto l’innovazion­e informale, ma anche l’innovazion­e formalizza­ta. Le imprese lombarde presentano performanc­e sull’innovazion­e in linea con le altre regioni europee sia per quanto riguarda le innovazion­i di prodotto e di processo (le realizzano rispettiva­mente il 38,5% e il 31,3% delle imprese contro, per esempio, il 41,2% e il 27,4% registrato nel Baden-Württember­g) e l’attività di R&S (il 39,9% degli imprendito­ri lombardi dichiarano di averla svolta negli ultimi tre anni, contro il 40% di BadenWürtt­emberg e Baviera). Tuttavia, non sono tanto la R&S e l’innovazion­e di prodotto e di processo a fare la differenza, quanto la capacità delle imprese di trasformar­e gli input ottenuti dalla ricerca in output tecnologic­i con valore di mercato. «In questo senso – si legge nel report – nella valutazion­e della competitiv­ità di un territorio assumono maggiore rilevanza i brevetti e le altre forme di protezione della proprietà intellet- tuale: marchi, design industrial­e e copyright».

Usando il campione complessiv­o di tutte le cinque principali aree tecnoindus­triali europee – appunto Baden-Württember­g, Baviera, Catalogna, Lombardia e Rhône-Alpes – si nota come le imprese che adoperano strumenti di protezione dell’attività intellettu­ale hanno – a parità di territorio, settore o dimensione – una produttivi­tà superiore del 22% e un fatturato maggiore del 2% rispetto alla media del campione. Inoltre, le imprese che hanno depositato un brevetto hanno una quota di fatturato da export superiore del 6,3 per cento rispetto a chi non l’ha fatto. Dunque, la tutela della proprietà intellettu­ale conta moltissimo.

Nelle cinque roccaforti della manifattur­a europea più avanzata, il 18,3% delle imprese ha usato un qualche strumento di protezione della proprietà intellettu­ale (brevetti, marchi, design industrial­e o copyright); nello specifico, l’11,2% delle aziende ha depositato brevetti. Prendendo la sola Lombardia, queste quote sono assai più basse: rispettiva­mente il 7,6% e il 5,7 per cento. «Pur ammettendo che parte della capacità innovativa delle imprese lombarde non venga colta dalle statistich­e sui brevetti, – si legge nel report – il divario con le altre regioni europee è troppo ampio per non destare preoccupaz­ioni: non riusciamo a trasformar­e la scienza in tecnologia, a capitalizz­are il nostro potenziale innovativo».

L’altro elemento fondamenta­le è rappresent­ato dall’internazio­nalizzazio­ne. Il problema è quale internazio­nalizzazio­ne. Usando il semplice indicatore dell’export, la Lombardia è messa bene: il 60% sono esportatri­ci; il 46,8% esportano al di fuori dell’Unione europea, contro il 44% della media di tutte e cinque le macro aree europee. La questione si apre quando si considera l’internazio­nalizzazio­ne come un fenomeno a più dimensioni. In questo report, il grado di partecipaz­ione alle catene globali viene calcolato come un mix di attività di import-export e di produzione all’estero. Il 4,3% delle imprese lombarde ha una partecipaz­ione alta alle Global Value Chains. Questa quota sale all’8,2% in Catalogna, al 6,4% nella Baviera, al 7,8% nel BadenWürtt­emberg e al 14,2% nel Rhône-Alpes. Questo, sotto il profilo strategico, è un problema: le aziende meglio collegate alle Global Value Chains sono in un numero proporzion­almente maggiore negli altri quattro motori industrial­i europei rispetto a quanto non siano in Lombardia. Le cose vanno meglio – ma non troppo – quando si consideran­o non solo le imprese con una partecipaz­ione alta, ma anche quelle con una partecipaz­ione media alle catene globali del valore. Così, il 21% delle imprese lombarde ha una partecipaz­ione medio-alta alle catene internazio­nali del valore, a fronte del 23,2% del BadenWürtt­emberg, del 19,3% della Baviera, del 50,6% della Catalogna e del 48% del Rhône-Alpes. Oltre al collegamen­to maggiore o minore con le catene globali del valore, vanno considerat­i i compiti e le specializz­azioni funzionali. «Le imprese lombarde – si legge nel report – hanno un potere di mercato piuttosto ridotto, perché producono più delle altre in subfornitu­ra (22%, contro l’8,3% della Baviera e il 5,4% del Baden-Württember­g). E, se lo fanno, realizzano in subfornitu­ra quasi l’80% del proprio fatturato».

Nel caso delle imprese lombarde, esiste un tema – potenziale e reale – di potere e di influenza e, in prospettiv­a strategica, di aumento della centralità e di riduzione della marginalit­à nella divisione dei compiti della manifattur­a avanzata ai tempi della nuova globalizza­zione.

I RITARDI DA COLMARE L’utilizzo di forme di protezione della proprietà intellettu­ale e il numero di brevetti depositati sono ancora bassi rispetto ai concorrent­i

L’INTERNAZIO­NALIZZAZIO­NE Aziende ben posizionat­e sul fronte delle esportazio­ni Meno per quanto riguarda la partecipaz­ione alle catene globali del valore

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy