Il Sole 24 Ore

Ora spingere sulla crescita

- Di Dino Pesole

La revisione al rialzo operata dall’Istat per il Pil del 2014 è senz'altro una buona notizia. La correzione di quattro decimi di punto rispetto alla precedente stima (da -0,3% a +0,1%) non è da poco.

Lo spiega il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva: di fatto l’uscita da un triennio di recessione, con la revisione di alcune variabili resa nota ieri che ha consentito di rivalutare la dinamica dei servizi e della manifattur­a nel 2014 rispettiva­mente dallo 0,7 all’1,5% e dallo 0,9 all’1,6%, si colloca ora nell’ultimo scorcio del 2014. Con la conseguent­e, leggera revisione al ribasso del consuntivo sulla crescita del 2015 (che passa dallo 0,8 allo 0,7%), e l’annesso nuovo livello del debito che passa al 132,2% rispetto al precedente 132,7 per cento. Per Palazzo Chigi è l’effetto della politica economica messa in atto dal Governo, compresi gli 80 euro destinati ai redditi mediobassi. Di certo, per una volta le complesse alchimie statistich­e sembrano venire in soccorso del Governo, alle prese con la ridefinizi­one del quadro macroecono­mico che costituirà la cornice di riferiment­o della prossima manovra di bilancio. E tuttavia non vi è dubbio che l’uscita dalla crisi si sta mostrando più lenta e faticosa del previsto. Il valore aggiunto dell’insieme dell’economia - segnala l’Istat - ha segnato nel 2015 una crescita dello 0,5%, per effetto della contrazion­e nel settore delle costruzion­i (1,2%), di incrementi in agricoltur­a, industria e servizi, con gli investimen­ti fissi lordi in aumento dello 0,5 per cento. Segnali, certo, e l’attesa era che quest’anno la ripresa si consolidas­se. Rispetto al 2015, il peso delle variabili esogene ha virato però fin dai primi mesi dell’anno in negativo, come non mancherà di evidenziar­e la Nota di aggiorname­nto al Def che il Governo si accinge ad approvare. Siamo sul terreno complesso e scivoloso delle stime, e dunque anche il nuovo quadro macroecono­mico andrà attentamen­te monitorato. Se la minore crescita per il 2017 si limiterà a uno scarto dello 0,2% (dall’1,4% all’1,2%), l’impatto sulle variabili di finanza pubblica (debito e deficit in primis) potrà limitarsi a pochi decimali di punto. Occorre però una drastica e decisa inversione di tendenza. Difficile da realizzare - si potrebbe obiettare - se il ciclo economico internazio­nale, fotografat­o da ultimo dall’Ocse, continuerà a virare in negativo. Per la verità un qualche margine a disposizio­ne delle politiche economiche domestiche (al netto della flessibili­tà che si riuscirà a spuntare) è tuttora possibile. È la scommessa della prossima manovra di bilancio: provare a rilanciare la domanda interna con scelte mirate e ben calibrate, come annunciato agli inizi di agosto dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. La linea ufficiale resta che l’Italia intende rispettare le regole, pur criticando­le, e dunque non vi saranno sforamenti del tetto del 3 per cento. Ma entro quel tetto, sono diversi

GLI STRUMENTI Per riavviare la ripresa è necessario accelerare su investimen­ti e taglio delle tasse, in primis quelle sul lavoro

IL RALLENTAME­NTO 2016 Le variabili esogene hanno virato in negativo, l’aggiorname­nto al Def terrà conto della mancata accelerazi­one

i margini possibili. Lo ha detto chiarament­e il Centro studi di Confindust­ria: senza nuova flessibili­tà si rischia una manovra che, al netto delle clausole di salvaguard­ia da disinnesca­re, comportere­bbe una correzione dei saldi per 16,6 miliardi. Del resto, poiché lo stesso Padoan ha sostenuto chiarament­e che i margini per ulteriori tagli alla spesa si vanno riducendo (anche perché si temono effetti recessivi) non resterebbe che affidarsi – oltre che ai residui risparmi di spesa effettivam­ente indicati nella manovra e alla flessibili­tà europea - agli incassi (una tantum) attesi dall’operazione voluntary disclosure bis, e quanto si riuscirà a recuperare dalla lotta all’evasione. Tutti elementi che fanno ritenere come la prossima manovra, la terza del Governo Renzi, pur nei limiti imposti dal permanere di un debito pubblico che ora l’Istat fotografa al 132,2% nel 2015, debba effettivam­ente provare a spingere il più possibile sul pedale sulla crescita, via investimen­ti e riduzione delle tasse in primis sul lavoro.

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