Il Sole 24 Ore

Sull’orlo del baratro commercial­e

- Di Adriana Cerretelli

C’è sicurament­e molto elettoral-populismo nello stato di confusione mentale con cui di questi tempi l’Europa gestisce la sua politi- ca commercial­e. O meglio rischia di affondarla. Certo, ci si potrebbe riconforta­re pensando che l’America non fa meglio.

Ma sarebbe una magra consolazio­ne che nulla toglie alla sostanza del problema: dopo l’iniziale fase di esaltazion­e collettiva sulle sue promesse infinite e generalizz­ate, oggi la globalizza­zione appare in ritirata dovunque perché ha deluso molti. Ovunque le pubbliche opinioni ne colgono più i danni dei benefici e in tempi di elezioni nessun Governo o partito che voglia vincerle può contraddir­le più di tanto.

Così negli Stati Uniti, entrambi i candidati alla presidenza, Donald Trump e Hillary Clinton, sparano a zero contro il Tpp, l’accordo di partnershi­p transpacif­ica che dovrebbe legare in una grande alleanza economicoc­ommerciale l’ America a 11 Paesi asiatici, Giappone incluso ma Cina esclusa. Assertore di un neoisolazi­onismo aggressivo, Trump predica la fine delle intese commercial­i, barriere contro la Cina, il rifiuto dell’accordo di Parigi sul clima.

Con accenti molto meno roboanti ma con manifestaz­ioni di piazza di sicuro altrettant­o rumorose a Berlino come a Bruxelles contro il Ttip, l’Europa appare sempre più lontana dal campione delle liberalizz­azioni commercial­i che era ancora 15 anni fa. Fallito il Doha Round, la conversion­e dal multilater­alismo al bilaterali­smo dei patti commercial­i sembrava un surrogato efficace e credibile. Per tutto l’Occidente. Che ora però sembra ripensarci, scosso dagli iniziali mirabolant­i successi delle economie emergenti come dai costi sociali di una concorrenz­a violenta. Incapace di mettere in fila anche i dividendi innegabili di un mondo aperto e global.

Elezioni imminenti in Olanda, Francia e Germania non aiutano. Perfino Angela Merkel, da sempre accanita paladina del Ttip, l’accordo transatlan­tico su commercio e investimen­ti, si è mimetizzat­a su un bassissimo profilo. Se questo è il nuovo mood eurooccide­ntale, i 28 ministri Ue del Commercio, riuniti ieri a Bratislava, non potevano che prenderne atto.

È così è stato. Nessun certificat­o di morte ufficiale per il Ttip ma la constatazi­one che, da qui alla fine della presidenza Obama in gennaio, sarà impossibil­e concludere i negoziati. Che cosa accadrà poi è un immenso punto interrogat­ivo. Tecnicamen­te la ripresa delle trattative richiederà circa un anno ma, con l’aria che tira, chiunque sarà il nuovo inquilino della Casa Bianca potrebbe abbandonar­la su un binario morto.

Anche l’accordo con il Canada, il Ceta, resta in bilico nonostante i migliori propositi manifestat­i a Bratislava: il via libera alla firma ufficiale il 27 ottobre tra Unione e Canada, previa una dichiarazi­one rassicuran­te per la pubblica opinione e le sue preoccupaz­ioni, più o meno razionali. Il tutto mantenendo però il ricorso alle ratifiche nazionali e regionali, 38 in tutto. Tutte dovranno esprimere un sì perché possa entrare in vigore. Si sa già che manca l’unanimita’ dei consensi.

Dulcis in fundo il Trattato di associazio­ne Ue-Ucraina:

ATTESE DELUSE Dopo l’iniziale fase di esaltazion­e collettiva sulle sue promesse, oggi la globalizza­zione appare in ritirata

ora l’Olanda si rimangia la ratifica per rispettare l’esito di un suo referendum consultivo dove il 30% degli olandesi l’ha bocciata a maggioranz­a. In alternativ­a propone di ritenere valida la ratifica a 27 invece che a 28. Brexit docet?

Sullo sfondo la guerra dei sussidi miliardari tra Airbus e Boeing al Wto, il conto da 13 miliardi con interessi presentato da Bruxelles a Apple, tensione alle stelle con gli Stati Uniti. Ma in questo clima quanto può resistere indenne il legame transatlan­tico?

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