Texas, frontiera dei nuovi pozzi
Midland, Texas, 500 chilometri a ovest di Dallas. Sono posti resi epici prima dai film come “Il gigante” o “Il petroliere”.
Il giornale locale, il Midland Reporter Telegram, tutti i giorniha in prima pagina notizie sulla riunione Opec, quella del 26 settembre di Algeri. Qua tutto dipende dal prezzo del petrolio: sempre in prima, oltre alle quotazioni del barile, l’icona delle previsioni del tempo ha un pozzo di petrolio con dietroil sole, ola nuvola, a seconda delle attese.
È in questa contea del profondo sud degli Stati Uniti che si può capire il futuro del prezzo del petrolio e se è vero che, come qualcuno qua dice, che il Texas si sta riprendendo quella leadership del mercato mondiale che l’Opec gli ha strappato negli anni ’70. In un’area grande come la provincia di Milano, ci sono pozzi di petrolio, quelli a cavalletto, dappertutto, a perdita d’occhio. Sono quelli fatti con il fracking, oppure sono quelli vecchi, alcuni degli anni ’50, che sfruttano i giacimenti tradizionali. In tutto sono 1300, ma l’attenzione è tutta sulle 31 trivelle che ne fanno di nuovi con la tecnica della fratturazione orizzontale. Tre anni fa, con prezzi sopra i 100 dollari, le trivelle erano un centinaio e c’è chi scommette che nei prossimi mesi si tornerà a quei livelli. Le riserve sono immense nel Permian Basin, il deposito sedimentario che si estende fino ai confini con il Messico con un’area di 400 per 500 chilometri. L’attività, nonostante i prezzi bassi, si mantiene vivace, anche perché i costi sono più bassi. Con gli attuali 45 dollari, i pozzi attualmente in perforazione permettono un margine dell’ordine di 5 dollari per ripagarsi il debito e fare un po’ di profitto. Ma i costi li stanno comprimendo, anche perché il disordine degli anni del boom lascia ancora spazio a molta efficienza. È un’attività manifatturiera che coinvolge, per ogni pozzo, centinaia di persone, una tren- tina di camionisti che portano l’acqua e la sabbia da iniettare, decine di tecnici per seguire la perforazione, esperti di chimica per l’iniezione dei fluidi, meccanici per fare girare i tubi, geologi per capire se le fratture funzionano, altri camion che portano via l’acqua, altri che portano i tubi da mettere nel pozzo, che va giù verticale per un chilometro e poi devia orizzontalmente per altri 3-5 chilometri. Sono 15 le fasi di cui è fatto uno sviluppo di uno di questi pozzi secondo cadenze standardizzate, come in una sorta di fabbrica. Guardando l’Interstate 20, l’autostrada che va da Dallas al Messico, l’ininterrotto via via di camion e pickups carichi di attrezzature dà l’idea del fermento e della volontà di non mollare. Sempre un giornale locale riporta la notizia che è in costruzione uno stabilimento dove si insedierà il gigante internazionale dei tubi dell’acciaio Tenaris e già oggi sono 30 i dipendenti assunti.
Solo 4 anni fa, i costi di produzione venivano stimati intorno ai 90 dollari per barile e nel 2014, quando l’Arabia Saudita decise di far crollare i prezzi, ci si attendeva un’ondata di fallimenti che in realtà non ci sono stati. Due settimane fa, una delle aziende leader nel settore, Apache, ha annunciato una nuova gigantesca scoperta da 3 miliardi di barili (la Val d’Agri, in Italia, il più grande giacimento a terra in Europa, ha riserve per 0,4 miliardi di barili). In realtà, come tutti qua sanno, di scoperte nuove non ce ne sono; si tratta di una formazione geologica ben conosciuta, dove, però, la complessità delle rocce e delle stratificazioni finora ha impedito di produrre. La società è convinta che con nuove tecniche di indagine fisica e con più efficienti perforazioni è in grado di sfruttarle e nei prossimi due anni farà 2mila pozzi, ma ciò richiede prezzi sopra i 50 dollari. Le riserve non convenzionali degli Usa accessibili con la tecnica del fracking sono dell’ordine delle centinaia di miliardi di barili, molto di più di quelle dell’Opec, ma occorrono prezzi più alti, o nuove innovazioni tecnologiche nella produzione. Questo potrebbe essere il futuro meccanismo del mercato petrolifero: non appena i prezzi tornano sopra i 60 dollari, subito riparte nuova produzione negli Usa, non solo nel Permiano, ma anche nel Dakota, nell’Oklahoma, in Pennsylvania e in altre aree. Attualmente la produzione è a 8,5 milioni di barili al giorno, 0,6 in meno rispetto ad un anno fa, ma sempre 3,5 in più dei minimi del 2008, quando i prezzi raggiunsero il picco a 140 dollari e innescarono la corsa al nuovo oro nero da fracking. Con prezzi sotto i 40 dollari, i pozzi più costosi vengono chiusi, cala l’offerta, e i prezzi si riprendono. Questo meccanismo semplice in realtà funzionerà con ritardi e rigidità, ma di fatto, con una visione di lungo periodo, è quello che è accaduto negli ultimi 10 anni. Prezzi molto alti oltre i 100 dollari hanno reso conveniente spremere più petrolio da queste rocce del Texas che, da più di 100 anni, continuano a sorprendere, per la gioia di tutti gli automobilisti, anche di quelli della lontana Europa. Meglio che l’Opec se ne faccia una ragione.
SCENARI PRODUTTIVI Il barile debole ha messo in crisi i produttori, ma l’output americano ora è di 8,5 mbg, in lieve calo sul 2015, ma 3,5 mbg in più sul 2008