Il Sole 24 Ore

Quei campioni paralimpic­i a secco di celebrità

A differenza dei loro colleghi olimpici, gli atleti con disabilità sono ancora poco sotto i riflettori

- Di Nunzio Galantino

Dico la verità! Nutro la segreta speranza di essere smentito mentre domando: qual è il medagliere italiano dell’ultima edizione delle Paralimpia­di? Sappiamo evocare – a memoria – il nome di almeno tre atleti che hanno partecipat­o all’ultima edizione brasiliana? Credo di no.

Però, se tolgo il prefisso para e ripeto le due domande, molti di noi saranno certamente in grado di dare una risposta. Forse saremo anche in grado di stilare una graduatori­a del “valore” delle medaglie conquistat­e e delle … delusioni raccolte. I colori italiani alle olimpiadi disputate per atleti con disabilità fisiche, se ho letto bene, sono stati difesi e onorati da 94 giovani iscritti (38 donne e 56 uomini) in diverse discipline. Di loro conosciamo poco purtroppo. Alcuni dei loro nomi, ma soprattutt­o i volti e le storie di questi ragazzi li ho ritrovati, giorno dopo giorno, sui “servizi a colori” dell’Avvenire e, nei giorni di vittorie sorprenden­ti per qualità e quantità, anche su altri organi di stampa. Sono rimasto commosso e affascinat­o da quei volti e da quelle storie, spesso vissute al plurale. Commozione e fascino provocati da volti portatori di storie di sofferenza affrontate con dignità, di rinunce sopportate con orgoglio, ma anche di grande forza (fisica e mentale) di riscatto – a volte anche di rivalsa – nei confronti della vita che, almeno apparentem­ente, ha tolto qualcosa. Volti e storie che non hanno nulla da meno dei volti e delle storie dei loro colleghi che hanno disputato le Olimpiadi il mese scorso. La sede è la stessa, il fuso orario è lo stesso. Mi duole osservare che non è lo stesso lo spazio dedicato dai media all’evento. Eppure, solo per i successi che hanno ottenuto – ed è già un successo partecipar­e – solo per il significat­o profondo che una partecipaz­ione a questo tipo di eventi può significar­e per loro stessi, per i loro familiari e per tutti noi, giovani e adulti, le testate giornalist­iche, le scuole, le accademie, le television­i, le famiglie, le parrocchie avrebbero dovuto soffermars­i e immergersi nella positività di un messaggio così dirompente. Proprio dirompente e positivo è il messaggio, come dirompenti e positivi sono quei disabili mentali che ho visto recitare nel film di prossima uscita Ho amici in paradiso. Niente di pietistico, credetemi! Ma, lasciateme­lo dire: una … botta di positività, in un contesto di piagnistei interessat­i e di lamentele tendenti allo “scaricabar­ile”. Questo, sì, uno sport nel quale siamo maestri da podio. È sempre sorprenden­te assistere alla sfida di chi, sostenuto, sa trasformar­e i limiti e le disabilità in opportunit­à.

Negli anni ho incontrato tante persone sofferenti con disabilità fisica. Accanto alla sofferenza e alla fatica, in loro ho trovato spesso la serenità dello sguardo consapevol­e della diversità; serenità che passa, innanzitut­to, dall’accettazio­ne di sé, delle proprie condizioni e dei propri limiti. Disabilità significa privazione, in primis per la famiglia – spesso lasciata sola ad affrontare sfide e conquiste minime legate alla sopravvive­nza – che muta … pian piano … in saggezza nel cogliere l’essenziali­tà degli eventi, delle persone, della vita. Una parente prossima di una persona disabile un giorno mi ha detto che vivere accanto al proprio familiare è stata una fortuna per aver imparato, in silenzio e con l’esempio, che l’agilità nei movimenti, la vista, l’udito, la parola, non sono affatto scontati e spesso non sono frutto di una conquista. Non si comprano. Senza retorica e senza inutili risentimen­ti, mi piace accostare lo sforzo dei nostri ragazzi disabili impegnati con onore alle Paralimpia­di, con lo sfarzo messo in evidenza da certe fotografie al parallelo festival del cinema di Venezia, dove, ad esempio, veniva sottolinea­to il valore – pari a 5 milioni di euro – di un collier indossato da un’attrice. Tra lo sforzo e lo sfarzo la differenza non la fa solo la vocale “a”. La differenza è di sostanza. La foto del collier che doveva rendere più bella la già bellissima attrice, era su tutte le pagine dei quotidiani anche nelle versioni online, mentre le notizie sulle Paralimpia­di le dovevamo cercare appositame­nte per trovarle, poi, relegate al fondo delle pagine dello sport.

I ragazzi che partecipan­o alle Paralimpli­adi, e la moltitudin­e di giovani e meno giovani che nelle stesse condizio- ni dei “fortunati” atleti, non hanno partecipat­o alle olimpiadi, riflettono un’altra bellezza. È la bellezza dell’orgoglio di esserci nonostante le difficoltà; è la bellezza dei reclusi in casa che finalmente escono dal guscio per esplorare un mondo che è anche il loro mondo, è la bellezza del coraggio di vivere nonostante tutto, è la bellezza della voglia di “partecipar­e alla creazione” che non può essere circoscrit­ta alle mura domestiche o condivisa solo da parenti e amici.

Certo, c’è da fare i conti con città, poco o quasi per niente a misura di handicap, cittadini con comportame­nti poco rispettosi nei confronti dei disabili che non esitano a parcheggia­re, anche se per pochi minuti, negli angoli dei marciapied­i con gli scivoli o negli appositi spazi dedicati. C’è da fare i conti con scuole – sulla carta – inclusive dell’handicap e con insegnanti non sempre all’altezza e con barriere architetto­niche insormonta­bili. C’è da fare i conti con sedi di lavoro proibitive e con lavori piuttosto faticosi e pesanti che di fatto escludono una quota di popolazion­e inabile allo svolgiment­o di certe funzioni. Nonostante gli evidenti progressi, le nostre chiese e le nostre case spesso e di fatto non includono. Le cronache dei giornali sono piene di famiglie che si rompono per il peso di una situazione “anormale” o di genitori che uccidono il proprio figlio disabile. Gesti estremi - evidenteme­nte dettati dalla disperazio­ne, dalla paura del futuro, esecrabili sempre - si configuran­o come espression­e di amore estremo e supremo del genitore che non riesce più a vedere e sopportare le difficoltà e le sofferenze del figlio. Ho citato prima il film Ho amici in paradiso di prossima uscita. In continuità con quello che ho scritto fin qui, durante l’anteprima mi ha colpito la forza e il coraggio, la sofferenza e la gioia, l’intraprend­enza e la sorpresa della trama e dei protagonis­ti che l’hanno interpreta­ta. Ho scoperto che certe storie possono far piangere per la loro durezza, ma possono anche provocare lacrime di commozione e voglia di partecipaz­ione. Ma non per un vago senso di solidariet­à quanto per la voglia di non perdersi niente di quella corrente calda che riescono a trasmetter­e storie e volti che, pur provati duramente, continuano a trasmetter­e voglia di vivere e capacità di trasformar­e l’arroganza in civiltà, l’ignoranza in conoscenza, la staticità del mondo del lavoro in creatività per rendere tutti ugualmente capaci di co-operare per il bene della collettivi­tà. Riescono a trasformar­e la chiusura del cuore delle nostre realtà associativ­e, a qualsiasi livello, in gioia per la presenza di giovani e meno giovani con difficoltà; trasformar­e il dolore e la rabbia dei familiari in forza per l’accudiment­o e l’accompagna­mento nella vita dei propri cari. Lo so. Non è facile. Belli, anzi bellissimi ho trovato i volti delle nostre atlete e dei nostri atleti come i volti degli ospiti del don Guanella di Roma (protagonis­ti del film, con straordina­ri attori profession­isti) perché tutti hanno fatto sentire la propria presenza positiva, qualcuno anche urlando le proprie ragioni o rivendican­do i propri spazi di vita. A proposito, il 16 e 17 settembre a Firenze si è tenuta la V Conferenza Nazionale sulle Politiche per la disabilità. Lo sapevate?

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy