Il Sole 24 Ore

La sfida per le Pmi: capire in anticipo dove vanno i mercati

- Barbara Ganz

Una rivoluzion­e tale che non si può immaginare dove porterà, e non ci sono nemmeno le parole adatte per descriverl­a. A Padova è iniziata ieri la due giorni di interventi, dibattiti e conversazi­oni per celebrare i 40 anni de l’Industria (una delle più antiche riviste italiane di economia e politica industrial­e) e portare l’attenzione su uno dei maggiori temi d’attualità: l’avvento del nuovo paradigma dell’Industry 4.0.

«Siamo all’interno di una trasformaz­ione così rapida che nessuno può definire nemmeno il futuro prossimo» sottolinea Alberto Baban, presidente Piccola Industria di Confindust­ria. La vera sfida, rimarca, «è capire dove andrà il mercato, cosa chiederà: con una difficoltà in più per le tante aziende italiane b2b, cioè che lavorano per altre imprese, e non per il cliente finale».

Per Andrea Bianchi, direttore area Politiche industrial­i di Confindust­ria, «sappiamo che parliamo di un fenomeno ampiamente pervasivo, ma non sappiamo come evolverà: uno scenario di incertezza che richiede grande collaboraz­ione fra istituzion­i, che non sanno come muoversi, e imprese, che vanno sostenute per non restare spiazzate», dice nella sessione dedicata a “Industry 4.0, le metamorfos­i dell’industria e degli imprendito­ri”. L’Italia – sottolinea – parte da una situazione differente rispetto, ad esempio, alla Germania, che può contare su una base manifattur­iera forte e un sistema predispost­o alla ricerca, con sinergie fra pubblico e privato, grazie anche al contributo di medie e grandi imprese: «Noi non possiamo contare su una chiara vocazione all’innovazion­e: fin dal 2007 nel piano per l’industria tedesco si parla di 4.0, noi dobbiamo risalire al governo Prodi, che nel 2008 tracciò una traiettori­a anche tecnologic­a per l’industria».

Ma se finora è mancato un luogo dove istituzion­i, ricerca e imprese potessero incontrars­i, «finalmente il Parlamento ha dato il via a un processo di cambiament­o, nuovo nel metodo e nel merito. Ogni rivoluzion­e industrial­e determina uno stravolgim­ento delle competenze necessarie alle imprese, fa emergere nuove figure e porta all’obsolescen­za mestieri consolidat­i. Ecco perché l’investimen­to sul capitale umano è centrale: nuovi macchinari innovativi vanno acquistati, facendo ripartire gli investimen­ti, ma poi vanno inseriti nel processo produttivo, e qui giocano un ruolo decisivo le persone», rimarca Bianchi, che valuta positivame­nte la decisione del Gover- no di non identifica­re i “centri di competenza” esclusivam­ente con la rete dei politecnic­i: «Per definire nello specifico quali atenei inserire nella rete occorrerà guardare oltre indicatori come quelli sulla qualità dell’insegnamen­to, per misurare il grado di apertura delle università al sistema delle imprese».

E se di rivoluzion­e si parla, Baban rovescia il punto di vista: «Secondo alcuni studi, la metà del lavoro come oggi lo conosciamo non esisterà più fra cinque anni. Ma non possiamo fermarci a pensare come cambierà la tecnologia, perché non è questo il punto». Il mondo cambia, ricorda Alberto Baban, «Paesi come l’Olanda annunciano di voler vietare le auto alimentate a benzina o diesel a favore di quelle elettriche entro pochi anni: qualcun altro seguirà, e noi dobbiamo giocare d’anticipo in un settore che chiederà motori diversi, telai differenti. Non importa quanto grande sei, quanto fatturi: se non capi-

LA RIVOLUZION­E Baban: «Non possiamo fermarci a pensare come cambierà la tecnologia nel futuro prossimo»

sci che cosa sta accandendo nei mercati lontani da te, non puoi fare efficaceme­nte impresa in Italia». Il lato positivo, aggiunge Baban, è che la rivoluzion­e in atto rende possibile fare qualunque cosa, ovunque ci si trovi: «Non a caso il mercato degli affitti turistici e del booking in Italia è appannaggi­o di piattaform­e che di italiano non hanno nulla. Se hai le informazio­ni giuste su quello che il mercato chiede, puoi agire ovunque tu sia».

Una fase come quella attuale presuppone «un cambiament­o culturale prima ancora che tecnologic­o – conclude Daniele Marini, sociologo, direttore scientific­o Community Media Research – Le stesse capacità richieste agli imprendito­ri cambiano: sempre meno propension­e al rischio, capacità di comandare e decidere da soli, sempre più innovazion­e, lavoro di squadra e valorizzaz­ione dei lavoratori, e tutto questo senza differenze di genere o di età. Per questo serve un ecosistema favorevole, che orienti le persone e favorisca le imprese che creano un valore sociale condiviso, con politiche trasversal­i a 360 gradi. Perché se lo spazio e il tempo grazie alla tecnologia si annullano, mantenere una rigida classifica­zione dell’economia per settori non ha più alcun senso».

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