La sfida per le Pmi: capire in anticipo dove vanno i mercati
Una rivoluzione tale che non si può immaginare dove porterà, e non ci sono nemmeno le parole adatte per descriverla. A Padova è iniziata ieri la due giorni di interventi, dibattiti e conversazioni per celebrare i 40 anni de l’Industria (una delle più antiche riviste italiane di economia e politica industriale) e portare l’attenzione su uno dei maggiori temi d’attualità: l’avvento del nuovo paradigma dell’Industry 4.0.
«Siamo all’interno di una trasformazione così rapida che nessuno può definire nemmeno il futuro prossimo» sottolinea Alberto Baban, presidente Piccola Industria di Confindustria. La vera sfida, rimarca, «è capire dove andrà il mercato, cosa chiederà: con una difficoltà in più per le tante aziende italiane b2b, cioè che lavorano per altre imprese, e non per il cliente finale».
Per Andrea Bianchi, direttore area Politiche industriali di Confindustria, «sappiamo che parliamo di un fenomeno ampiamente pervasivo, ma non sappiamo come evolverà: uno scenario di incertezza che richiede grande collaborazione fra istituzioni, che non sanno come muoversi, e imprese, che vanno sostenute per non restare spiazzate», dice nella sessione dedicata a “Industry 4.0, le metamorfosi dell’industria e degli imprenditori”. L’Italia – sottolinea – parte da una situazione differente rispetto, ad esempio, alla Germania, che può contare su una base manifatturiera forte e un sistema predisposto alla ricerca, con sinergie fra pubblico e privato, grazie anche al contributo di medie e grandi imprese: «Noi non possiamo contare su una chiara vocazione all’innovazione: fin dal 2007 nel piano per l’industria tedesco si parla di 4.0, noi dobbiamo risalire al governo Prodi, che nel 2008 tracciò una traiettoria anche tecnologica per l’industria».
Ma se finora è mancato un luogo dove istituzioni, ricerca e imprese potessero incontrarsi, «finalmente il Parlamento ha dato il via a un processo di cambiamento, nuovo nel metodo e nel merito. Ogni rivoluzione industriale determina uno stravolgimento delle competenze necessarie alle imprese, fa emergere nuove figure e porta all’obsolescenza mestieri consolidati. Ecco perché l’investimento sul capitale umano è centrale: nuovi macchinari innovativi vanno acquistati, facendo ripartire gli investimenti, ma poi vanno inseriti nel processo produttivo, e qui giocano un ruolo decisivo le persone», rimarca Bianchi, che valuta positivamente la decisione del Gover- no di non identificare i “centri di competenza” esclusivamente con la rete dei politecnici: «Per definire nello specifico quali atenei inserire nella rete occorrerà guardare oltre indicatori come quelli sulla qualità dell’insegnamento, per misurare il grado di apertura delle università al sistema delle imprese».
E se di rivoluzione si parla, Baban rovescia il punto di vista: «Secondo alcuni studi, la metà del lavoro come oggi lo conosciamo non esisterà più fra cinque anni. Ma non possiamo fermarci a pensare come cambierà la tecnologia, perché non è questo il punto». Il mondo cambia, ricorda Alberto Baban, «Paesi come l’Olanda annunciano di voler vietare le auto alimentate a benzina o diesel a favore di quelle elettriche entro pochi anni: qualcun altro seguirà, e noi dobbiamo giocare d’anticipo in un settore che chiederà motori diversi, telai differenti. Non importa quanto grande sei, quanto fatturi: se non capi-
LA RIVOLUZIONE Baban: «Non possiamo fermarci a pensare come cambierà la tecnologia nel futuro prossimo»
sci che cosa sta accandendo nei mercati lontani da te, non puoi fare efficacemente impresa in Italia». Il lato positivo, aggiunge Baban, è che la rivoluzione in atto rende possibile fare qualunque cosa, ovunque ci si trovi: «Non a caso il mercato degli affitti turistici e del booking in Italia è appannaggio di piattaforme che di italiano non hanno nulla. Se hai le informazioni giuste su quello che il mercato chiede, puoi agire ovunque tu sia».
Una fase come quella attuale presuppone «un cambiamento culturale prima ancora che tecnologico – conclude Daniele Marini, sociologo, direttore scientifico Community Media Research – Le stesse capacità richieste agli imprenditori cambiano: sempre meno propensione al rischio, capacità di comandare e decidere da soli, sempre più innovazione, lavoro di squadra e valorizzazione dei lavoratori, e tutto questo senza differenze di genere o di età. Per questo serve un ecosistema favorevole, che orienti le persone e favorisca le imprese che creano un valore sociale condiviso, con politiche trasversali a 360 gradi. Perché se lo spazio e il tempo grazie alla tecnologia si annullano, mantenere una rigida classificazione dell’economia per settori non ha più alcun senso».