Caso Olimpiadi, se lo scontro politico prevale sulle istituzioni
Un grande dibattito su una piccola questione. Nel grande dibattito su una piccola questione come quella delle Olimpiadi a Roma – meglio, sulla competizione tra Roma ed altre metropoli per l’organizzazione dei giochi olimpici del 2024 - prevalgono i profili della competizione politica su quelli istituzionali. Come è abitudine italiana, e come è un peccato che avvenga in un paese che sta perdendo via via il gusto per il rispetto delle regole e della reciproca lealtà, ed ama tuffarsi nello scontro, purchessia.
Se si riuscisse a limitare la questione al profilo istituzionale e democratico – nel merito, è giusto che ognuno resti sulla propria posizione -, la coincidenza tra la posizione espressa in campagna elettorale e la conseguente decisione non potrebbe che essere salutata come un sintomo di convalescenza da un vizio ad un tempo antico e tutt’ora rigoglioso. Promettere una cosa, giungere fino all’annuncio della sua realizzazione, quindi far calare l’oblio sulla stessa. Esempi? Infiniti, con esplosione del fenomeno dal 1994 in poi, favoriti poi dalla decisione di togliere agli elettori il compito di eleggere i propri rappresentanti – quindi di valutarne la coerenza -: una delle conseguenze del fenomeno. Per un periodo, chissà se concluso, in Italia abbiamo avuto delle “nomine generali” , in luogo delle elezioni, per dirottare la rappresentanza dal popolo sovrano alle segreterie dei partiti.
Se la valutazione si fosse limitata alla coerenza istituzionale, la questione poteva finire lì, fermo restando ognuno sulla propria posizione di merito. Sotto questo profilo, è ineccepibile la decisione del sindaco. Del resto, che direbbero i critici di oggi se l’eventuale sindaco Giachetti avesse rovesciato la propria posizione sull’argomento? Raggi promossa, sotto questo profilo. E bocciato il vizio di confondere le questioni di merito con quelle istituzionali.
Più apprezzabili, forse le uniche “ricevibili”, sono a nostro avviso le critiche al procedimento che ha portato alla decisione. Procedimento che rivela, assieme al complessivo malcerto incedere della giunta comunale e del suo capo, una indeterminatezza senza precedenti: assieme ad un grado di rissosità che, peraltro, per pudore e sobrietà, tutte le altre formazioni politiche dovrebbero astenersi dal criticare, se non sotto il profilo della mediocre trasparenza. I primi rilievi che emergono rivelano un plateale episodio di scortesia istituzionale, oltre che personale, del sindaco verso il capo dello sport: presto ricambiato con una moneta altrettanto priva di rispetto e densa di impropria critica politica nella immediata risposta del presidente del Coni.
La storia delle scortesie istituzionali è talmente densa e succosa che basta ricordare il gelo che avvolse lo scambio delle consegne tra i due ultimi presidenti del consiglio dei ministri: con la visione di quel brevissimo filmato potrebbe iniziare un efficace corso di educazione istituzionale nelle scuole. Come non ci si comporta. Ma i casi sono infiniti: quello tra sindaco e comitato olimpico rientra nella sottocategoria della prevaricazione delle istituzioni politiche su quelle civili, e sfrutta un malinteso e prepotente uso del concetto, in sé nobile, del primato della politica. Su tutto il resto, elettori compresi. Raggi bocciata, senza attenuanti.
Infine, le critiche della politica. Detto del dovere di apprezzamento della coerenza tra impegni assunti e decisioni conseguenti, in ossequio ad un codice di comportamento tanto ovvio quanto trascurato, è difficile non valutare il rilievo di un difetto di autonomia degli esponenti del movimento stellato, aggravato dalla
LA RIFORMA ELETTORALE Un legame diretto eletto-elettore può far superare i rischi che stanno emergendo nel governo della Capitale
assenza totale di titolo del soggetto o dei soggetti a cui impropriamente sarebbe rimessa la propria responsabilità istituzionale. Il rilievo è grave, soprattutto quando la soggezione ad un’entità non rappresentativa valichi i profili ristretti delle relazioni politiche, per occupare spazi e ruoli istituzionali. Abbiamo recentemente avanzato su queste colonne l’allarme dei rischi crescenti quando la subordinazione si alzi di livello fino a coincidere con quello dell’incarico di formare un governo (o di ricoprire un incarico ministeriale): con il rischio concreto della compresenza, accanto al costituzionalmente doveroso rispetto dei ruoli istituzionali (il capo dello Stato che dà l’incarico dopo le consultazioni di rito, le camere che danno la fiducia al governo ed ai suoi ministri), di una configgente sottoposizione alle direttive di fonti extraistituzionali. Non vi sono elementi formali per associare il comportamento del sindaco Raggi a questa pratica, se non fosse per la mai smentita sottoscrizione di una sorta di contratto che vincola la sua condotta a direttive impartite in sede sconosciuta, comprensiva di sanzione pecuniaria.
Rilievo difficilmente contestabile, questo, in assenza di convincenti atti di smentita. Ma rilievo a fatica ricevibile da soggetti politici, in queste ore scatenati censori in voce e su carta, che mai dissentirebbero o dissentiranno, rivendicando una propria autonomia, all’interno del proprio ambito, di partito o di governo. Rilievo che, proprio per questa estensione quasi generale, costituisce uno degli aspetti più precari e preoccupanti della vicenda istituzionale nazionale. Nella auspicabile ridefinizione della nuova legge elettorale, la ricostruzione della relazione diretta tra elettore ed eletto può offrire un contributo importante al suo superamento.