«Da Moro una lezione di unità nazionale»
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, celebra i 100 anni della nascita dello statista pugliese
La “vocazione all’intesa” tra forze politiche, la “strategia dell’attenzione” verso i nuovi fenomeni espressi dalla società e “l’immutabilità” come “rinuncia” a una funzione di innovazione necessaria per le istituzioni. Come fossero tre gradini Sergio Mattarella li fa una alla volta per rendere al meglio quella tensione verso una qualità democratica più alta che ha segnato il pensiero di Aldo Moro. Ieri erano i cento anni dalla na- scita dello statista democristiano e su ciascun gradino il capo dello Stato si è soffermato, li ha inquadrati nella loro fase storica ma era inevitabile il paragone con l’oggi.
Con un’attualità che proietta tendenze alla divisione più che al dialogo soprattutto in vista dell’appuntamento referendario. Un memorandum che vale in questi mesi che precedono la battaglia tra i “sì” e i “no” e che tanto più varrà all’indomani dell’esito referendario – qualunque sia - quando quella vocazione all’intesa e quella strategia dell’attenzione verso ciò che esprime la società dovrà diventare parte integrante delle istituzioni.
Cruciale in Moro, dice Mattarella, è il rapporto Stato-politica-società, ed è qui che si concentrano le sue riflessioni di ieri: su questo circuito che deve diventare virtuoso perché capace di “riannodare” ogni filo nell’ambito della «democrazia repubblica arricchendo i modelli di vita comune organizzata nelle istituzioni». Cita Leopoldo Elia, la sua definizione dello statista pugliese come «integratore della democrazia», un ruolo che fu capace di incarnare proprio per la sua attitudine al dialogo. «Moro si distinse per l’opera prestata a favore di un dialogo permanente e rispettoso tra le forze politiche del Paese e per lo sforzo teso a rendere le istituzioni democratiche permeabili alle istanze della società civile».
Ecco che attraverso la vita di Moro, Mattarella intende raccontare una delle funzioni primarie della politica come «interpretazione della società» per coglierne le sue attese e umori e tradurle in proposta per «guidare i processi di innovazione». Fu reduce della stagione del ’68, di quelle spinte critiche ma anche la cronaca attuale racconta di processi e di soggetti politici nuovi. L’arrivo sulla scena politica dei 5 Stelle, la stagione delle riforme, la prossimità della scadenza referendaria su cui i partiti sono divisi. Momenti di rottura, passaggi cruciali che secondo la lezione di Moro andrebbero vissuti salendo quei tre gradini per impedire un deterioramento della vita istituzionale.
Lui appariva tra i politici «il meno dogmatico», sempre attento «all’ascolto di esperienze inedite, di nuovi orizzonti» per questa ragione, aggiunge Mattarella, la sua “visione era l’esatto contrario di concezioni conservatrici, lo animava una forte spinta all’innovazione, nel sistema politico, nella definizione di nuove opportunità nella società con la stagione delle riforme».
Per lui – dice il capo dello Stato - l’immutabilità avrebbe significato «compiere una rinuncia a una splendida funzione che passerebbe ad altri». E dunque anche le contestazioni che in quell’epoca erano le lotte sindacali o quelle studentesche dovevano essere ricondotte a «forme partecipative» con le istituzioni nel ruolo di attente ascoltatrici. Ma ancora prima, nell’Assemblea Costituente, l’azione di Moro spingeva verso questa direzione, coniugare il cambiamento con il dialogo. Anche qui appare inevitabile il paragone con il momento attuale che ha al centro del dibattito politico la riforma costituzionale. Ricorda Mattarella di quando Moro disse all’Assemblea Costituente: «Se nell’atto di costruire una casa comune nella quale dobbiamo ritrovarci ad abitare insieme, non troviamo un punto di contatto o confluenza, veramente la nostra opera può dirsi fallita».
Ieri Moro, oggi - a Vercelli - il ricordo di Cavour, domenica - a Savona - dell’ex presidente Pertini. Tre tappe scelte da Mattarella per ripercorrere tre culture politiche: cattolica, liberale e socialista, che hanno animato la nostra democrazia e vita repubblicana. Ciascuno a suo modo fu innovatore della storia italiana, in tutti e tre c’era l’idea di far fare un passo avanti alla Repubblica e rafforzare le istituzioni tenendo il paese lontano da «avventure solitarie». Lezioni di unità nazionale, da Cavour fino a Pertini - con la sua spinta di avvicinare la gente comune allo Stato - fino a Moro di cui ieri ha ricordato anche la visione europeista. Mattarella ricorda quel che Moro disse alla Camera, era il 1973. «La sicurezza è indivisibile e non si possono assicurare pace ed equilibrio in Europa senza garantirli anche nel Mediterraneo». Parole profetiche.
UOMO DEL DIALOGO Per il Capo dello Stato, Moro appariva tra i politici «il meno dogmatico», sempre attento «all’ascolto di esperienze inedite, di nuovi orizzonti»