Lettera da Wall Street
Aspettiamoci delle settimane di passione
Èdavvero arrivato il momento di chiederselo: il populismo, anche quello di stampo americano divulgato con grande entusiasmo da Donald Trump e con un forte seguito piace al mercato o no?
La risposta, semplice e diretta è no. C’è un riscontro concreto? Sì: quando la settimana scorsa si è capito che Hillary si trovava in difficoltà il mercato si è mosso al ribasso. Certo contribuivano altri fattori, come il timone molle dell’Amletica Federal Reserve, ma è stata la prima volta che si è visto un sussulto per la politica.
Perché? Diciamo subito che il mercato è agnostico. Non è che gli operatori scelgano Hillary su Trump per amore ideologico o politico. Ma quando sentono che si vuole costruire un muro con il Messico, che si vuole chiudere il libero commercio, abolire TPP, rinegoziare Nafta, riorganizzare la Nato e così via, a quel punto si agitano un pochino: ritoccare un pochino l’intonaco, riparare qualche danno, dare una verniciata di fresco fa sempre bene. Ma demolire la piattaforma su cui l’economia mondiale ha prosperato negli ultimi 70 anni è un’altra cosa. Hillary non sarà molto creativa, potrà anche essere antipatica ma offre prospettive di gestione generalmente affidabili.
Trump no non ha capito che non basta la concessione di riduzioni fiscali anche sui profitti parcheggiati all’estero ( dal 35% al 10%) o sulle aliquote societarie ( dal 35% al 15%) per dare felicità gli operatori. Nella gerarchia delle preferenze per imprenditori e mercato, il commercio, l’apertura, un fronte occidentale unito vengono prima dei tagli fiscali. Il populismo facile insomma non va a braccetto con le prospettive di ripresa economica. Finora non c’erano state molte reazioni perché quei soloni dei forecasters statistici davano per certa una vittoria di Hillary. Ora è meno certa. E comunque sia, i mercati davanti alle incertezze in genere diventano fragili. Aspettiamoci dunque, in nome del populismo, qualche settimana di passione.