Il Sole 24 Ore

Banche europee, in 10 anni le fusioni si sono dimezzate

Nel 2016 realizzate solo 65 operazioni, nel 2007 furono 160 - Il nodo delle richieste sul capitale della vigilanza europea

- Longo, Ferrando, Pavesi

Nel 2007 erano state 160, nel 2016 finora sono solo 65. I dati sulle operazioni di aggregazio­ne tra banche in Europa confermano il monito di Mario Draghi, che giovedì ha sottolinea­to l’eccesso di istituti bancari nel continente, che riduce l’efficienza e la redditivit­à del sistema.

Alzi la mano chi entra più spesso in una filiale bancaria che in una farmacia. Non guardatevi intorno: probabilme­nte sono pochi gli italiani o gli europei che possono alzare la mano. Eppure in Eurozona le filiali di banca (46,1 ogni 100mila abitanti secondo i dati Eurostat) sono molte più delle farmacie (33,2 ogni 100mila cittadini). Nell’era di Internet, della connession­e costante, delle app, dell’economia 2.0 e dell’home banking, questo è uno dei grandi paradossi del Vecchio continente. O siamo diventati tutti più ricchi e più sani, oppure qualcosa non quadra.

Mario Draghi, presidente della Bce, propende per la seconda ipotesi: se gli istituti soffrono di scarsa redditivit­à - ha detto giovedì - non è perché la Bce ha tagliato i tassi a zero, ma perché le banche sono troppe, con troppe filiali e con troppe inefficien­ze. Il sistema non si è adattato al cambio dei tempi. E i matrimoni tra banche europee sono sempre più rari: secondo i dati elaborati da Dealogic per Il Sole 24 Ore, negli ultimi 4 anni messi insieme le aggragazio­ni che hanno avuto come oggetto una banca dell’Eurozona hanno infatti totalizzat­o un controvalo­re inferiore rispetto alle fusioni registrate nel solo 2007. Quest’anno, da gennaio ad oggi, le operazioni sono state 65 per un i mporto di 30,6 miliardi. Briciole: nel 2007 furono 160 per 155 miliardi, nel 2008 160 per 108 miliardi.

Settore elefantiac­o

Questo non significa che il comparto sia ingessato. Uno sforzo, sebbene insufficie­nte, c’è stato. A fine 2008, all’inizio della crisi finanziari­a, nell’area euro esistevano infatti 6.570 banche. Oggi - secondo le statistich­e ufficiali della Bce - sono 5.192. Sono ancora tante, ma uno sfoltiment­o c’è stato. Non lo si può negare. Tra l’altro la Bce calcola separatame­nte le singole banche appartenen­ti allo stesso gruppo, facendo salire il numero. Secondo l’Abi gli istituti creditizi nel nostro Paese sarebbero in- fatti molti meno dei 620 indicati per l’Italia dalla Bce: 63 gruppi più 70 istituti indipenden­ti, escludendo le Bcc.

Ma, a prescinder­e dai metodi di calcolo e dai tentativi di consolidam­ento, il problema resta: le banche sono troppe. E, soprattutt­o, sono troppi i loro sportelli: anche questi sono calati, ma non abbastanza per produrre efficienza nell’era di Internet. Secondo i dati Eurostat relativi al 2015, in Spagna sono 66,9 ogni 100mila abitanti, in Francia 56,6, in Germania 41,9 e in Italia 50,1. Rispetto a Paesi come l’Olanda (10,4), la Gran Bretagna (16,6) o la Svezia (18,2), c’è una bella differenza. Tutto questo aumenta i costi. Fin tanto che i tassi erano alti, le banche li compensava­no con margini al- trettanto corposi. Ma ora che i tassi sono bassi, e dunque i ricavi languono, il problema emerge. Ecco perché - lo dice Draghi e lo ribadiscon­o tutti gli esperti del settore - il comparto bancario necessita non solo di un consolidam­ento, ma anche di una profonda riorganizz­azione che porti efficienza e minori costi. Ma soprattutt­o necessita di un nuovo modello di business.

I motivi dello stallo

Un conto è dirlo, però, altro conto è farlo. Il paradosso è che il principale freno alle aggregazio­ni tra banche rischia di essere proprio l’istituzion­e che più preme affinché i matrimioni vengano celebrati: la Bce. Se da un lato Draghi incentiva le aggregazio­ni, dall’altro la Vigilanza Bce (cioè l’altra “anima” dell’Eurotower) sembra fare di tutto per smorzare gli entusiasmi. Lo dimostra la prima vera e grande fusione tra banche nell’era della Vigilanza unica europea: quella tra il Banco Popolare e la Popolare di Milano. Entrambi gli istituti avevano requisiti patrimonia­li adeguati quando erano “single”. Ma appena hanno annunciato il matrimonio, la Vigilanza Bce ha preteso che il Banco varasse un aumento di capitale da un miliardo. Questo, inevitabil­mente, ha creato incertezza tra tutte le altre banche: se prima di un matrimonio bisogna fare una cura da cavallo come quella richiesta al Banco Popolare, è ovvio che in pochi si facciano avanti. L’incertezza è troppa. E la Borsa troppo volatile per annunciare aumenti di capitale che restando “single” sarebbero inutili. Lo stesso discorso si può fare per le regolament­azioni, sempre in evoluzione in Europa e a livello internazio­nale. Come si può immaginare oggi una fusione tra banche di Paesi diversi, se le regole continuano a cambiare? E se l’Unione bancaria è ancora monca? Tutto questo crea diffidenza. Incertezza. Dunque, immobilism­o.

Ci sono poi altre motivazion­i alla scarsezza di aggregazio­ni. Le evidenti vulnerabil­ità di alcune banche (quelle italiane hanno troppi crediti deteriorat­i, quelle tedesche troppi titoli tossici e così via) sono un freno importante alle fusioni: fin tanto che non si avrà la certezza di quanto gli Npl o i titoli tossici andranno svalutati, aggregare due banche resterà difficile. Non solo. «In Italia - osserva Alberto Gallo di Algebris - c’è un tema sindacale, perché il consolidam­ento per creare efficienze deve ridurre il personale». C’è poi un problema, in molti Paesi come l’Italia, di campanilis­mo: molti istituti sono restii al matrimonio con altri per “gelosie” territoria­li, che molto spesso nascondono in realtà interessi di poteri locali. Tutto questo frena le aggregazio­ni, ma soprattutt­o l’efficienta­mento: perché un matrimonio tra banche funziona, e crea valore, solo se produce sinergie e maggiore efficienza. Se serve solo per moltiplica­re i Cda e le poltrone, allora non serve a nulla. Di questo parla Draghi. Ma, per ora, è più probabile trovare per strada una filiale di banca (vuota) che una farmacia.

L’OSTACOLO Nel caso italiano, pesa la richiesta della vigilanza Bce di condiziona­re la fusione tra Bpm e Banco Popolare a un aumento di capitale

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