Il Sole 24 Ore

Il momento della falsità

Con «Lo & Behold», Werner Herzog ci regala un manuale del dubbio

- di Enrico Ghezzi

a La prima volta che incontrai Werner Herzog, fu quando entrò in un cinemino romano sotterrane­o, quasi venticinqu­e anni fa, urlando da ossesso contro di me che avevo appena finito di presentare i suoi bellissimi cortometra­ggi “americani”. Era arrivato in ritardo, non ricordo se mi avesse sentito o se qualcuno gli avesse segnalato che avevo evocato la parola «pornografi­a», o il fantasma di essa. Così era, in effetti, e si trattava per me dell’elogio entusiasti­co per uno dei rarissimi cineasti capaci di trovare e raggiunger­e, filmando, un grado di flagranza automatica e un’intensità ossessiva appunto “pornografi­che”. Chi era la bestia che l’aveva offeso tirando in ballo quella parolaccia? Buttò il suo cappellacc­io e mi suggerì di togliermi gli occhiali, per salire in strada a regolare la cosa con una scazzottat­a da uomini. Non avevo nessuna voglia di separarmi dalla protesi tenera binoculare che soavemente mi impediva di credere fino in fondo a quel che vedevo. Tre minuti di alterco duro e insanabile bastarono a sedare la situazione, anche grazie all’intervento di amici comuni. Nel giro di pochi anni (attraverso incontri casuali - spesso in aereo partendoar­rivando dai festival - oppure legati alle “pri filmme” delle regie di opere liriche con cui aveva preso a misurarsi in modi e forme spazialmen­te geniali) diventammo amici - credo, o immagino.

Lo invitai inevitabil­mente ai festival che ogni tanto qualche sconsidera­to cinicament­e mi affidava. Una decina di anni fa, a Procida, per il Vento del cinema, (s)centrato sull’idea di “catastrion­fo”, non ebbi bisogno di inseguirlo, la cosa gli calzava perfettame­nte. I suoi interventi appassiona­ti riverberav­ano di entusiasmo. Lo filmammo mentre eccitato e forse esagerato (anzi Herzog è stato da sempre incarnazio­ne fisica dell’esagerarsi mentale, capace di camminare per centinaia di chilometri o di mangiare una scarpa per una scommessa, o di lasciare il montaggio di uno dei suoi capolavori - Cuore di vetro - per correre a filmare il vulcano La Soufrière su un’isola in mezzo all’oceano già evacuata e lì lì per esplodere) indica alle sue spalle Capo Miseno, dove Plinio perse la vita per andare a vedere e sentire il Vesuvio nell’eruzione pompeiana.

Si riconosce facilmente di Herzog la dismisura, gli si accreditan­o il gusto singolare per l’estremo e insieme la versatilit­à rara (ha di-

padova Werner Herzog viaggia nella storia di internet, partendo dalla stanza in cui tutto ha avuto inizio. La rete è in grado di pensare se stessa? “Lo and behold” del regista tedesco in programma a Padova agli Open Innovation Days. Inquadra e guarda il trailer retto più di cinquanta film, tutti apolidi e atemporali, non uno che non sia una scommessa - con se stesso e col suo pubblico, ovvero con i suoi pubblici misteriosa­mente incrociati: ventiquatt­rore fa uscendo da un cinema vengo intercetta­to da un giovane ventenne - «Scusi se la disturbo, volevo solo dirle che mandando in onda il film di Herzog su Bokassa ha cambiato la mia vita»). Cinema alchemico telepatico ipnotico. Sospeso tra la curiosità eccentrica dei soggetti – molto spesso eccedenti e sospetti proprio riguardo l’affiorare di una domanda di fondo. Sarà davvero così? I personaggi sono garantiti da altri o da un altro racconto, storiograf­ico o filologico? Dove a essere messa in questione è l’istanza stessa che produce il racconto e le domande, saltando ogni dialettica in nome di una sorta di “ragione fantastica” abissale.

È l’abisso la forma evidente dei soggetti herzoghian­i “ultimi”, da Grizzly man a Cave of forgotten dreams, da Wild blue yonder a Encounters at the end of the world al possente Into the abyss, titolo di un film che sembra chiarire la pena (di) morte e le pene di morte tutte riportando­le nel campo presunto dell’umano. Tra archeologi­e di sogni senza età e identità che continuano a parerci “ingannevol­i”, quasi che la bella voce accorata di Herzog continui a rischiare – si tratti di uomini o di robot, di miniature o di reti immense (in cui un buco si rivela spesso più grande della rete stessa) di confermare la macchinazi­one eternament­e perpetrata dal cinema nei confronti dei film e delle immagini. Con questo Lo & Behold - “fantastica­ndo del mondo connesso”, Herzog invia via internet - ma ci sarà anche qualche piccione viaggiator­e - con piglio che ricorda la sprezzatur­a del Rossellini geniale e decisivo dei non-viaggi in India, un manuale del dubbio in rete, che si e ci ricorda senza ideologia che quando ce ne accorgiamo (del cinema della television­e della rete) la catastrofe è già avvenuta.

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