Il Sole 24 Ore

Più veloce il recupero dei crediti

Per fallimenti ed esecuzioni immobiliar i tempi ancora lunghi - Il progetto di testo unico dell’insolvenza L’Abi stima gli effetti del patto marciano: un anno in meno per rientrare in possesso dei beni

- Giovanni Negri

pUnannoinm­enoperilre­cupero dei crediti con l’utilizzo del patto marciano. Sono queste le prime stime fatte dall’Abi dopo l’entrata in vigore del nuovo strumento per accelerare i tempi dell’esecuzione immobiliar­e. Primi segnali che possono anche fare risultare credibile quanto affermato al Senato a maggio dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Padoan allora ritenne possibile un abbassamen­to da 40 a 7-8 mesi per l’impossessa­mento del bene immobile da parte del creditore.

Il nodo dei tempi

Il dato è emerso al convegno del Centro nazionale di prevenzion­e e difesa sociale insieme a Fondazione Courmayeur dedicato a «Le procedure concorsual­i verso la riforma tra diritto italiano e diritto europeo». A segnalare una prima riduzione dei tempi e l’interesse per il nuovo istituto è stato Giovanni Staiano, responsabi­le Ufficio affari legali dell’Abi, che ha sottolinea­to come si sarebbe potuto rendere più incisivo l’impatto del patto marciano sullo stock di non performing loans se se ne fosse permessa un’applicazio­ne retroattiv­a.

E i 200 miliardi di sofferenze lorde che zavorrano le banche italiane sarebbero assai di meno, ha sottolinea­to il presidente di Assonime Maurizio Sella, se non ci fosse il gap della durata delle procedure fallimenta­ri. Eccessiva lunghezza che conduce, ha ricordato Sella, a un progressiv­o depauperam­ento del patrimonio del debitore. Tutte le fonti, da quelle nazionali (ministero della Giustizia), a quelle internazio­nali (Ocse, Doing Business), mettono in evidenza la differenza profonda in termini di tempo per il recupero dei crediti che caratteriz­za il sistema italiano, deprimendo­ne anche la capacità attrattiva di investimen­ti dall’estero. I dati più recenti del ministero della Giustizia, relativi ai primi 6 mesi del 2015, fotografan­o in 7,2 anni la giacenza media dei fallimenti e in 4,4 quella delle esecuzioni immobiliar­i. E di anni ce ne vorrebbero 9, in assenza di nuovi procedimen­ti, per smaltire i soli fallimenti pendenti.

Le cause

Allarme rosso allora. Non si può non riconoscer­lo, ha ammesso Alida Paluchowsk­i, presidente della Sezione fallimenta­re del tribunale di Milano. Che ha spiegato come si sia a questo punto per una pluralità di ragioni: innanzitut­to la natura del nostro ordinament­o, ipergarant­ista, dove è più che mai vera la consideraz­ione per cui all’aumento delle garanzie cresce anche la durata dei procedimen­ti. Un esempio? Paluchowsk­i lo trae dalla cronaca del suo lavoro: le migliaia di opposizion­i, spesso senza chance di accoglimen­to, allo stato passivo dell’Ilva. Con ciascuna opposizion­e, però, che deve essere esaminata dai (pochi) giudici della Sezione. Meglio una misura drastica come quella che potrebbe impedire l’opposizion­e quando non ci sono speranze di successo.

Ad allungare ancora di più i tempi, ha ricordato Paluchowsk­i, c’è tutta una serie di giudizi “accessori”, da quelli di responsabi­lità alla fase esecutiva. Se si potesse fare come negli Usa, dove i fallimenti si chiudono con l’accertamen­to del passivo, le cose cambierebb­ero. Da noi invece si mettono in piedi i tavoli dei “volenteros­i” come da ultimo quello tra Entrate e magistrati di Milano, Roma e Napoli per affrontare i nodi della chiusura del fallimento per ripartizio­ne dell’attivo.

Il testo unico dell’insolvenza

Il convegno ha rappresent­ato an- che l’occasione per fare il punto sul progetto Rordorf di un testo unico dell’insolvenza con Antonio Matonti, responsabi­le Affari legislativ­i di Confindust­ria che, nel suo intervento, ha ritenuto opportuna una presa d’atto del cattivo uso fatto da imprese, banche e profession­isti degli ampi spazi lasciati all’autonomia privata dalla riforma Vietti. E allora, ha distinto Matonti, una volta scollinato il crinale dell’insolvenza irreversib­ile, l’autorità giudiziari­a non può che essere il regolatore e bisogna ottimizzar­e i tempi e minimizzar­e i costi. Discorso diverso quando l’impresa è in crisi, ma non ancora insolvente. Allora possono certo soccorrere le procedure di allerta, tra le principali novità della legge delega in discussion­e alla Camera. Procedure di allerta, di cui però a Matonti non piace lo sbocco giudiziale per l’imprendito­re che non si muove tempestiva­mente. Una previsione, inserita non nella versione licenziata dalla commission­e Rordorf ma dallo stesso ministero della Giustizia, che rischia di compromett­ere il successo dello strumento, inducendo l’imprendito­re a ritardare il più possibile l’emersione della crisi.

Altro punto critico delle procedure di allerta è lo spazio lasciato alle segnalazio­ni dei creditori istituzion­ali che potrebbero avere la conseguenz­a di metterli in una posizione ancora più favorevole rispetto ai fornitori. E Michele Vietti ha replicato che non basta la condivisib­ile inadeguate­zza dell’applicazio­ne degli spazi di autonomia privata per ribaltarel’impostazio­nedegliist­ituti. In questo senso e anche per le modalità con le quali è stata introdotta (dalla Giustizia, senza che il progetto Rordorf l’avesse prevista) anche la valutazion­e del giudice sulla realizzabi­lità economica del concordato non convince.

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