Tutela cautelare nel contenzioso al test-Consulta
Uno dei principi e criteri direttivi della legge delega sul tema del contenzioso fiscale, del rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, è l’individuazione di criteri di maggior rigore nell’applicazione del principio della soccombenza ai fini del carico delle spese di giudizio, con conseguente limitazione dei poteri discrezionali del giudice di disporre la compensazione delle spese in «casi diversi dalla soccombenza reciproca» (articolo 10, punto 11 della legge 23/2014). Nel decreto attuativo della legge delega è stato stabilito che con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari la Commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa espressa statuizione di merito (articolo 45, comma 2 quater decreto legislativo 546/1992). La Commissione tributaria provinciale di Treviso (15 gennaio 2016, in Gazzetta Ufficiale 25 maggio 2016, I parte speciale n. 21) ha ritenuto che l’estensione della condanna alle spese alla fase cautelare sia viziata da eccesso di delega (articolo 76 della Costituzione).
Prima di esaminare il contenuto dell’ordinanza di remissione è opportuno delineare la giurisprudenza costituzionale in tema di delega. Tale giurisprudenza si può definire deludente ma solo inadeguata. La Corte ha applicato alla legislazione la sua filosofia sulla «ampia delega»: 1 i principi e i criteri vanno desunti dall’intera legge e non solo da singole disposizioni (111/1986); 1 vanno desunti dalla legislazione preesistente, dal complesso generale del sistema (128/1986); l’autorizzazione nella legge delega all’esercizio frazionato può essere anche implicita (156/1985); 1 può essere richiamata una legge precedente anche mediante un’interpretazione logica e non meramente letterale della legge delega (233/1985). Insomma la delega è in tutte le cose, o quasi. Ma nella più recente giurisprudenza (119/2013; 272/2012; 293/2010; 98/200/) si va oltre questi criteri in quanto si afferma che la delega «non esclude ogni discrezionalità del legislatore, la quale può essere più o meno ampia in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega». Pertanto occorre individuare la ratio della delega. L’articolo 76 Costituzione non impedisce l’emanazione di norme «che rappresentino un coerente sviluppo e se del caso un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendovi escludere che la funzione delegata sia limitata a una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite dal primo». Di conseguenza neppure il silenzio del legislatore delegante su un tema può impedire, a certe condizioni, l’adozione da parte del delegato, trattandosi in tale caso di verificare che le scelte di quest’ultimo non siano in contrasto con gli indirizzi della legge delega (47/2014). Quest’ultima sentenza è citata nell’ordinanza della commissione remittente che l’ha tenuta ben presente, ma senza formulare alcun rilievo critico. Questa giurisprudenza dimostra, nella sua ampiezza, che nel giudizio di costituzionalità la Corte si riserva uno spazio infinito per salvare la legittimità della legge delega.
Vediamo il contenuto dell’ordinanza di remissione. Prima di tutto si dà rilievo all’interpretazione letterale della legge delega: sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito. Il silenzio del legislatore sul punto dice la commissione non legittima l’introduzione di una norma, quale quella censurata che non rappresenta sviluppo logico né un ragionevole completamento dei principi e criteri posti dal delegante. In conclusione: l’articolo 10 della legge delega prevede solo di dare maggior rigore al principio della condanna alle spese in caso di soccombenza; l’ordinanza cautelare non è impugnabile per ciò che riguarda le spese, in palese contrasto con il «rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente; la condanna alle spese della fase cautelare è non immediatamente esecutiva, diversamente da quanto dispone il Codice civile (articolo 669 septies) con la conseguenza che la condanna alle spese non può avere nessun effetto deterrente sulla proposizione dell’istanza cautelare, nessun giovamento quindi all’incremento della funzione della giurisdizione tributaria». L’ordinanza della Commissione appare ben argomentata dal punto di vista dell’interpretazione letterale e logica della norma censurata. Ma l’arco delle ipotesi va oltre l’interpretazione per soddisfare le esigenze perseguite con la filosofia «dell’ampia delega», visto che i principi e criteri direttivi vanno desunti dall’intera legge, dalla legislazione preesistente, la delega può essere anche implicita. Sono tutti profili che la Commissione non ha, perché non poteva, esaminato.
Nè il problema può essere risolto da un esame della collocazione del giudizio cautelare nel giudizio di merito, perché la Corte è attenta a criteri ampi e metagiuridici, posti, cioè, a tutela della preferenze politiche. Sono rare le sentenze di accoglimento per eccesso di delega.
La Corte molto probabilmente sarà sensibile all’esigenza pratica perseguita dalla norma impugnata e troverà in un angolo dell’ordinamento i principi e criteri direttivi. A meno che la Corte non voglia dichiarare incostituzionale la legge censurata il che appare allo stato della giurisprudenza citata alquanto improbabile.