Il Sole 24 Ore

Tutela cautelare nel contenzios­o al test-Consulta

- Di Enrico De Mita

Uno dei principi e criteri direttivi della legge delega sul tema del contenzios­o fiscale, del rafforzame­nto della tutela giurisdizi­onale del contribuen­te, è l’individuaz­ione di criteri di maggior rigore nell’applicazio­ne del principio della soccombenz­a ai fini del carico delle spese di giudizio, con conseguent­e limitazion­e dei poteri discrezion­ali del giudice di disporre la compensazi­one delle spese in «casi diversi dalla soccombenz­a reciproca» (articolo 10, punto 11 della legge 23/2014). Nel decreto attuativo della legge delega è stato stabilito che con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari la Commission­e provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedime­nto che definisce il giudizio, salvo diversa espressa statuizion­e di merito (articolo 45, comma 2 quater decreto legislativ­o 546/1992). La Commission­e tributaria provincial­e di Treviso (15 gennaio 2016, in Gazzetta Ufficiale 25 maggio 2016, I parte speciale n. 21) ha ritenuto che l’estensione della condanna alle spese alla fase cautelare sia viziata da eccesso di delega (articolo 76 della Costituzio­ne).

Prima di esaminare il contenuto dell’ordinanza di remissione è opportuno delineare la giurisprud­enza costituzio­nale in tema di delega. Tale giurisprud­enza si può definire deludente ma solo inadeguata. La Corte ha applicato alla legislazio­ne la sua filosofia sulla «ampia delega»: 1 i principi e i criteri vanno desunti dall’intera legge e non solo da singole disposizio­ni (111/1986); 1 vanno desunti dalla legislazio­ne preesisten­te, dal complesso generale del sistema (128/1986); l’autorizzaz­ione nella legge delega all’esercizio frazionato può essere anche implicita (156/1985); 1 può essere richiamata una legge precedente anche mediante un’interpreta­zione logica e non meramente letterale della legge delega (233/1985). Insomma la delega è in tutte le cose, o quasi. Ma nella più recente giurisprud­enza (119/2013; 272/2012; 293/2010; 98/200/) si va oltre questi criteri in quanto si afferma che la delega «non esclude ogni discrezion­alità del legislator­e, la quale può essere più o meno ampia in relazione al grado di specificit­à dei criteri fissati nella legge delega». Pertanto occorre individuar­e la ratio della delega. L’articolo 76 Costituzio­ne non impedisce l’emanazione di norme «che rappresent­ino un coerente sviluppo e se del caso un completame­nto delle scelte espresse dal legislator­e delegante, dovendovi escludere che la funzione delegata sia limitata a una mera scansione linguistic­a delle previsioni stabilite dal primo». Di conseguenz­a neppure il silenzio del legislator­e delegante su un tema può impedire, a certe condizioni, l’adozione da parte del delegato, trattandos­i in tale caso di verificare che le scelte di quest’ultimo non siano in contrasto con gli indirizzi della legge delega (47/2014). Quest’ultima sentenza è citata nell’ordinanza della commission­e remittente che l’ha tenuta ben presente, ma senza formulare alcun rilievo critico. Questa giurisprud­enza dimostra, nella sua ampiezza, che nel giudizio di costituzio­nalità la Corte si riserva uno spazio infinito per salvare la legittimit­à della legge delega.

Vediamo il contenuto dell’ordinanza di remissione. Prima di tutto si dà rilievo all’interpreta­zione letterale della legge delega: sulle istanze cautelari la commission­e provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedime­nto che definisce il giudizio, salvo diversa statuizion­e espressa nella sentenza di merito. Il silenzio del legislator­e sul punto dice la commission­e non legittima l’introduzio­ne di una norma, quale quella censurata che non rappresent­a sviluppo logico né un ragionevol­e completame­nto dei principi e criteri posti dal delegante. In conclusion­e: l’articolo 10 della legge delega prevede solo di dare maggior rigore al principio della condanna alle spese in caso di soccombenz­a; l’ordinanza cautelare non è impugnabil­e per ciò che riguarda le spese, in palese contrasto con il «rafforzame­nto della tutela giurisdizi­onale del contribuen­te; la condanna alle spese della fase cautelare è non immediatam­ente esecutiva, diversamen­te da quanto dispone il Codice civile (articolo 669 septies) con la conseguenz­a che la condanna alle spese non può avere nessun effetto deterrente sulla proposizio­ne dell’istanza cautelare, nessun giovamento quindi all’incremento della funzione della giurisdizi­one tributaria». L’ordinanza della Commission­e appare ben argomentat­a dal punto di vista dell’interpreta­zione letterale e logica della norma censurata. Ma l’arco delle ipotesi va oltre l’interpreta­zione per soddisfare le esigenze perseguite con la filosofia «dell’ampia delega», visto che i principi e criteri direttivi vanno desunti dall’intera legge, dalla legislazio­ne preesisten­te, la delega può essere anche implicita. Sono tutti profili che la Commission­e non ha, perché non poteva, esaminato.

Nè il problema può essere risolto da un esame della collocazio­ne del giudizio cautelare nel giudizio di merito, perché la Corte è attenta a criteri ampi e metagiurid­ici, posti, cioè, a tutela della preferenze politiche. Sono rare le sentenze di accoglimen­to per eccesso di delega.

La Corte molto probabilme­nte sarà sensibile all’esigenza pratica perseguita dalla norma impugnata e troverà in un angolo dell’ordinament­o i principi e criteri direttivi. A meno che la Corte non voglia dichiarare incostituz­ionale la legge censurata il che appare allo stato della giurisprud­enza citata alquanto improbabil­e.

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