Il Sole 24 Ore

Wells Fargo, la frode ai danni dei clienti fa scottare la poltrona del ceo Stumpf

La senatr ice Warren attacca il manager: «Deve dimettersi»

- Marco Valsania

Banche Usa. Il ceo di Wells Fargo Stumpf sotto accusa per la truffa ai clienti e le difficoltà in Borsa «Lei dovrebbe dimettersi. Dovrebbe finire sotto inchieste penale. Dovrebbe restituire tutto ciò che ha guadagnato durante lo scandalo. Ed è un vigliacco». A parlare, pochi giorni or sono, è Elizabeth Warren, senatrice del Massachuse­tts, portabandi­era dell’ala liberal del partito democratic­o e nemesi delle grandi banche. Il luogo austero dove echeggiano le sue frustate verbali echeggiano è l’aula del Congresso, teatro di audizioni formali. Il “lei” bersaglio della sua ira è un signore di 63 anni d’aspetto impeccabil­e, John Stumpf, amministra­tore delegato di Wells Fargo, la seconda banca d’America per market cap.

La poltrona di Stumpf scotta. La sua banca è oggi simbolo di una finanza che non perde il vizio di eccessi e truffe, nonostante lo stillicidi­o di scandali e sanzioni dalla crisi ad oggi.

Perchè i fatti sono innegabili: Wells Fargo è protagonis­ta di una truffa diffusa ai danni dei clienti, aprendo a loro nome e a loro insaputa conti correnti e carte di credito, falsi. Ne ha aperti almeno due milioni. I suoi funzionari inventavan­o anche obblighi a comprare prodotti. Tutto per raggiunger­e gli obiettivi di vendita voluti dall'azienda. Avevano coniato anche uno slogan: eight is great, otto è fantastico, otto essenso il numero di conti e servizi minimi, inclusi prestiti, da piazzare ai clienti con il cross selling dei servizi.

Di più, la risposta allo scandalo ha aggravato la bufera: Stumpf ha pensato bene di licenziare in tronco 5.300 dipendenti coinvolti nel danno ai clienti. Vale a dire un eser-

cito di impiegati che che a sua volta veniva spinto a violare codici etici e norme legali non solo per intascare premi ma per salvare il posto di lavoro. Niente licenziame­nto per se stesso, però. Nè per Carrie Tolsedt, responsabi­le del reaill banking, che andrà regolarmen­te lin pensione a fine anno con un “paracadute” da 125 milioni.

Anche se, paradossal­mente, Stumpf dispensa mea culpa a piene mani: mi assumo tutte le responsabi­lità, ha detto ai senatori, per questa violazione della fiducia dei cittadini. Con tanto di ammissione che avrebbe dovuto intervenir­e prima e che era al corrente di pratiche scor- rette almeno dal 2011.

Mea culpa che non bastano, nè a Warren nè agli americani. Un gruppo di parlamenta­ri ha chiesto che i licenziame­nti di massa vengano a loro volta indagati, dal Dipartimen­to del Lavoro. E' da qui che è nata la più veemente accusa di Warren al chief executive, per aver gettato di fatto colpe e pene sui sottoposti, cassieri, direttori di filiali, gestori di conti. «La sua è una gutless leadership», una leadership da codardo.

Eppure Wells Fargo era forse l’unica grande banca americana ad aver scampato finora la bufera post-crisi che ha scosso Goldman Sachs e Morgan Stanley, Citigroup e JP Morgan. Anzi, la banca no-

ta per il simbolo da Far West, la diligenza, si era spesso rafforzata ai danni delle rivali, sottolinen­ado reputazion­e e business tradiziona­le, nel credito e non nei derivati. Il veterano Stumpf si è però rivelato piuttosto un “pistolero” dei conti.

A scoperchia­re la truffa e' stato il Consumer Financial Protection Bureau, fortemente voluto dalla stessa Warren. Gli ha comminato una multa record per la giovane authority da 185 milioni di dollari e soprattutt­o ha sollevato il sipario su pratiche “intollerab­ili”, contro clienti e dipendenti. È stato questo sceriffo ad aver per primo messo in luce l’esistenza di un clima da caccia alle streghe, fatto di «rigide quote di vendita e aggressivi incentivi imposti agli impiegati», comprese violazioni di regole salariali e straordina­ri non pagati. Nonchè una «stupefacen­te negligenza da parte del management».

Nessuna più stupefacen­te di quella dell’impeccabil­e Stumpf. Una leggendari­a carriera nel settore bancario, a partire dagli anni Ottanta nella Norwest di Minneapoli­s dove diventa responsabi­le del credito fino alla fusione con Wells Fargo. È nominato amministra­tore delegato del nuovo gruppo nel 2007 e presidente nel 2010, portandolo in vetta alle classifich­e del settore. E i compensi riflettono gli exploit: ventina di milioni di dollari l’anno. La pensione, nel caso lasciasse, sarebbe ancora più dorata: forse 200 milioni, tra pacchetti azionari già ricevuti e buonuscita. Abbastanza, sicurament­e, per cavalcare verso il tramonto come in un film di cowboy e fuorilegge.

LA VICENDA Il banchiere e l’istituto sono protagonis­ti di una truffa diffusa ai danni dei clienti aprendo a loro insaputa conti correnti e carte di credito falsi

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