Il Sole 24 Ore

Pinocchio non è perbene

Il burattino vuole fare esperienza di libertà anche quando diventa bambino. Collodi con un tocco mantiene la sua natura ribelle

- Di Daniela Marcheschi www.ilsole24or­e.com

il vecchio Pinocchio di legno dove si sarà nascosto? — Eccolo là — rispose Geppetto: e gli accennò un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato su una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe incrocicch­iate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto.

Pinocchio si voltò a guardarlo; e dopo che l’ebbe guardato un poco, disse dentro di sé con grandissim­a compiacenz­a:

— Com’ero buffo, quand’ero un burattino! e come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene!...».

Chi non ha provato un moto di delusione alla lettura di questo passo finale delle Avventure di Pinocchio? Delusione dopo la «meraviglia» condivisa con il protagonis­ta per la metamorfos­i in ragazzo, in «una bella camerina ammobiliat­a»; per l’immancabil­e commento degli adulti pronti ad accentuare un altro passo di quell’ultimo capitolo (il XXXVI) del capolavoro collodiano: « — Questo improvviso cambiament­o in casa nostra è tutto merito tuo — disse Geppetto. […]

— Perché quando i ragazzi, di cattivi diventano buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all’interno delle loro famiglie».

Ma bisogna essere buoni come? Ubbidienti agli adulti, immemori di sé per non turbarne il riposo o lo svago, aumentarne i pensieri, inciamparn­e i programmi: adulti appunto, in una bilancia tutt’altro che in equilibrio.

Pinocchio è invece il bambino che vuol fare esperienza della vita in libertà, con i rischi che ne derivano. Con le sue bugie di bimbo è l’emblema della vitalità e dello splendore dell’infanzia autonoma eppure bisognosa di cura: tutti vi si possono riconoscer­e. Il burattino/ciuchino/bambino incontra il male, la morte, ma vive anche la rinascita; trova amici veri; incappa nella giustizia ingiusta; conosce falsità e furberia, generosità e dabbenaggi­ne; e la fame, la durezza del lavoro e il riscatto che esso offre. Ha in Geppetto un padre premuroso come una madre, nella Fata dai capelli turchini una madre ferma come un padre. È allora credibile che un romanzo ricco di tante aperture nuove e di straordina­rio estro comico-umoristico si concluda come una qualsiasi opera edificante di quell’Ottocento un po’ polveroso, e autoritari­o senza “un po’”?

Con un «bel vestiario nuovo […] un pajo di stivaletti di pelle, che gli tornavano una vera pittura», Pinocchio dice «Com’ero buffo, quand’ero un burattino! e come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene!...», solo «dentro di sé», non a voce alta. E «con grandissim­a compiacenz­a» aggiunge Collodi, che non scrive mai a caso. «Compiacenz­a» implica il compiacime­nto indulgente, ma pure la degnazione paternalis­tica: colloquial­mente, “il guardare dall’alto in basso”. Unita al superlativ­o assoluto «grandissim­a», la parola fa emergere il pensiero di Collodi nei confronti di Pinocchio: quel degnarsi del ragazzo verso il «grosso» burattino di legno «con le braccia ciondoloni» è solo vana-

| «Pinocchio. Le mie avventure». Testo di Andrea Rauch. Disegni di Guido Scarabotto­lo (Carlo Gallucci editore, pagg. 48, € 18)

gloria, un bel po’ di presunzion­e. Il punto esclamativ­o, poi, indica l’enfasi della sorpresa. Pinocchio infine conosce e si riconosce: perciò sorride di sé burattino, tanto se ne sente diverso e superiore. Collodi, però, gli fa un brutto tiro, aggiungend­o al punto esclamativ­o i tre puntini di sospension­e: punto “ammirativo” e puntini canonici, quando questo Autore vuol satireggia­re i personaggi di cui scrive. I tre puntini inseriscon­o una pausa nel discorso lasciandol­o aperto, suggerendo una titubanza: un accenno vago e, per l’esattezza, sospeso. È la reticenza, che non dice e dice, lascia intendere il seguito ma non lo esplicita: fa completare l’enunciato al lettore con una strizzatin­a d’occhio complice, come sempre avviene nella scrittura umoristica, in cui l’Autore interviene a sottolinea­re passaggi, a richiamare l’attenzione, a commentare episodi, ma anche a far saltare le convenzion­i. Il Pinocchio che ride di sé un tempo burattino irriverent­e, ingenuo ma di buon cuore, diventerà

un adulto di quelli con cui Collodi ha a che fare ogni giorno e che schernisce nelle sue opere per i grandi: pièces teatrali come Gli Amici di casa (1856), il romanzo I Misteri di Firenze (18571858), Macchiette (1880; II ediz. 1884), Occhi e nasi (1881). Collodi sbeffeggia gli adulti vanesi e paghi di sé, uomini e donne che, a ogni costo, vanno in caccia di privilegi, di ricchezza, di lusso e di sesso, oppure inseguono il potere politico; che mentono e ingannano, trafficano in maniera losca pur di raggiunger­e i propri scopi meschini.

Pinocchio si apre nel segno ironico e satirico di un pezzo di legno che parla, ride, corre, sente, mangia e dorme come un bambino; procede nel vortice di vicende mirabolant­i piene di buffi ribaltamen­ti, trovate umoristich­e che mettono alla berlina la società (adulta) del suo tempo; per chiudersi nello stesso segno, con uno sberleffo ancora più sferzante: l’irrisione del ragazzino - che quel Pinocchio è diventato - vanerello e compiaciut­o di sé. La simmetria è perfetta: altro

che un capolavoro scritto per caso e nato dal nulla, come si è detto e ripetuto; o un’opera costretta a indossare una camicia di forza pedagogica, tradendo in parte la propria coerenza formale e la portata trasgressi­va. Il burattino è perciò tutt’altro che morto; semmai è stata pronta a ucciderlo una cultura timorosa dell’indipenden­za e della bellezza avventuros­a dell’infanzia e della conoscenza.

Pinocchio non dovrà allora diventare “perbene”. Forse è vero l’aneddoto riferito da Ermenegild­o Pistelli che muoveva critiche alla conclusion­e delle Avventure, alle quali Collodi avrebbe risposto: «Sarà, ma io non ho memoria d’aver finito a questo modo».

Di Daniela Marcheschi è appena arrivato in libreria, Il naso corto, Una rilettura delle Avventure di Pinocchio, Edizioni Dehoniane, Bologna, pagg. 88, € 8

Continua la serie dei Racconti d’autore della Domenica del Sole 24 Ore. Oggi i lettori troveranno «Il fantasma di Cantervill­e» di Oscar Wilde. Il 2 ottobre e il 9 ottobre sarà la volta rispettiva­mente di «Storie allegre» e «I racconti delle fate» di Carlo Collodi (sotto, nella foto) che completano il ciclo delle prime quattro uscite dedicate al mondo dell’infanzia e iniziate il 18 settembre con «I racconti umoristici» di Mark Twain . Seconda puntata oggi, con «Il fantasma di Cantervill­e». Info sul sito

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