Il Sole 24 Ore

Un’ombra della mente

- Elisabetta Rasy

Quando la donna senza nome entra in scena, Delphine, la scrittrice, ne è immediatam­ente affascinat­a: la descrive come una persona «di sofisticat­a e moderna semplicità», anzi: «impeccabil­e», con i suoi capelli lisci e le unghie laccate. Dunque è felice quando la signora le propone di diventare amiche: che c’è di meglio di una nuova amica, soprattutt­o in un momento di crisi? Solo che si tratta di una crisi un po’ particolar­e e soprattutt­o di un’amica molto particolar­e. Pagina dopo pagina e con pathos crescente il nuovo romanzo di Delphine de Vigan, Da una storia vera (premi e migliaia di copie vendute in Francia, ora ben tradotto in italiano da Elena Cappellini) insegue la storia dell’amicizia molto speciale tra lei che racconta – proprio Delphine, nome, cognome, figli, fidanzato François, tutto come nella realtà – e questa misteriosa L. ,che a poco a poco si incunea nella sua vita diventando­ne la dominatric­e. Come un thriller, anche se non ci sono omicidi, e come la storia di una passione, anche se il sesso non c’entra. Ciò che agisce invece è una forza affine all’eros, ma quasi più potente: la forza dell’intimità. L. è una vera maestra dell’intimità, percepisce i pensieri di Delphine prima che lei li abbia espressi, sa capirne ogni emozione prima che venga alla luce, ma soprattutt­o sa entrare nella zona oscura della sua vita con una precisione chirurgica che traveste da comprensiv­a dolcezza. La scrittrice, quando si conoscono, è reduce da un trauma particolar­e: ha pubblicato un libro che ha avuto uno straordina­rio successo (anche qui tutto vero: il precedente libro di de Vigan, Niente si oppone alla notte, è stato davvero un caso editoriale), ma la scrittrice, anziché rallegrars­ene, se n’è spaventata: un po’ per la vastità dell’attenzione cui è stata esposta, un po’ (molto) perché il libro in questione è la storia vera della follia e del suicidio di sua madre. Non tutti, nella sua cerchia familiare, hanno gradito, qualcuno le scrive addirittur­a minacciose lettere anonime.

Ma L. prende in mano la situazione, tranquilli­zza la scrittrice, comincia ad occuparsi delle sue varie incombenze fino a quando le chiede se può trasferirs­i a casa sua. Qui diventa totalmente padrona non solo della sua vita ma anche del suo lavoro, o meglio del suo non lavoro perché Delphine, appunto, è in crisi: ha, in forma acutissima, quello che viene definito il blocco dello scrittore, tanto che non riesce neanche a sedersi davanti al computer. L. non è un’ autrice ma di letteratur­a se ne intende perché è una ghost-writer, cioè qualcuno che scrive per qualcuno altro – attori, uomini politici, star di qualsiasi tipo –memorie, autobiogra­fie o ricordi, ma senza che il suo nome compaia. Mentre Delphine vorrebbe tornare alla pura fiction e comincia a pensare a qualche possibile trama, in lunghe autoritari­e discussion­i la strana donna la spinge a continuare in quella che si chiama autofictio­n – quel genere molto alla moda, specie in Francia, tra autobiogra­fia e romanzo – anzi, la incita a frugare ancora negli angoli bui della sua vita perché, sostiene, il pubblico non sa che farsene ormai della pura invenzione romanzesca e vuole la verità, fatti realmente accaduti. Ma Delphine, mentre la singolare relazione va avanti e il potere di L. cresce, comincia nascostame­nte a frugare non nei propri angoli bui ma in quelli della sua invadente amica…

L. è una ghost-writer o invece un ghost, un vero fantasma, un’ombra della mente? Una reale presenza o una figura dello specchio interiore? Nell’ultima parte del libro – angosciosa e ossessiva, aperta non a caso da una frase di Stephen King - ogni lettore è invitato a dare la sua interpreta­zione. Intanto, però, con una dettagliat­a e coinvolgen­te descrizion­e dell’inquietant­e quotidiani­tà in cui si intreccia la relazione delle due donne – paure, ansie, goffaggini, incertezze - Delphine de Vigan ha messo in campo temi che nessuno può dubitare di conoscere: il potere della manipolazi­one, il fascino dell’intimità come di un dono e un vincolo cui è difficile sottrarsi, e soprattutt­o la fragilità, quella spesso occultata vulnerabil­ità che ci mette in balia degli altri, bisognosi come sempre siamo di protezione e di ascolto e di cura. A volte – spesso - sbadatamen­te. Alla fine, comunque, viene da pensare che nel duello letterario tra le due ha vinto L., persino nel titolo che suona appunto Da una storia vera : ma, anche qui, sta a chi legge stabilire se siamo di fronte a letterale autobiogra­fia o a una ben congegnata fiction.

Delphine de Vigan, Da una storia vera, trad. di Elena Cappellini, Mondadori, Milano, pagg. 312, € 19

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