Un’ombra della mente
Quando la donna senza nome entra in scena, Delphine, la scrittrice, ne è immediatamente affascinata: la descrive come una persona «di sofisticata e moderna semplicità», anzi: «impeccabile», con i suoi capelli lisci e le unghie laccate. Dunque è felice quando la signora le propone di diventare amiche: che c’è di meglio di una nuova amica, soprattutto in un momento di crisi? Solo che si tratta di una crisi un po’ particolare e soprattutto di un’amica molto particolare. Pagina dopo pagina e con pathos crescente il nuovo romanzo di Delphine de Vigan, Da una storia vera (premi e migliaia di copie vendute in Francia, ora ben tradotto in italiano da Elena Cappellini) insegue la storia dell’amicizia molto speciale tra lei che racconta – proprio Delphine, nome, cognome, figli, fidanzato François, tutto come nella realtà – e questa misteriosa L. ,che a poco a poco si incunea nella sua vita diventandone la dominatrice. Come un thriller, anche se non ci sono omicidi, e come la storia di una passione, anche se il sesso non c’entra. Ciò che agisce invece è una forza affine all’eros, ma quasi più potente: la forza dell’intimità. L. è una vera maestra dell’intimità, percepisce i pensieri di Delphine prima che lei li abbia espressi, sa capirne ogni emozione prima che venga alla luce, ma soprattutto sa entrare nella zona oscura della sua vita con una precisione chirurgica che traveste da comprensiva dolcezza. La scrittrice, quando si conoscono, è reduce da un trauma particolare: ha pubblicato un libro che ha avuto uno straordinario successo (anche qui tutto vero: il precedente libro di de Vigan, Niente si oppone alla notte, è stato davvero un caso editoriale), ma la scrittrice, anziché rallegrarsene, se n’è spaventata: un po’ per la vastità dell’attenzione cui è stata esposta, un po’ (molto) perché il libro in questione è la storia vera della follia e del suicidio di sua madre. Non tutti, nella sua cerchia familiare, hanno gradito, qualcuno le scrive addirittura minacciose lettere anonime.
Ma L. prende in mano la situazione, tranquillizza la scrittrice, comincia ad occuparsi delle sue varie incombenze fino a quando le chiede se può trasferirsi a casa sua. Qui diventa totalmente padrona non solo della sua vita ma anche del suo lavoro, o meglio del suo non lavoro perché Delphine, appunto, è in crisi: ha, in forma acutissima, quello che viene definito il blocco dello scrittore, tanto che non riesce neanche a sedersi davanti al computer. L. non è un’ autrice ma di letteratura se ne intende perché è una ghost-writer, cioè qualcuno che scrive per qualcuno altro – attori, uomini politici, star di qualsiasi tipo –memorie, autobiografie o ricordi, ma senza che il suo nome compaia. Mentre Delphine vorrebbe tornare alla pura fiction e comincia a pensare a qualche possibile trama, in lunghe autoritarie discussioni la strana donna la spinge a continuare in quella che si chiama autofiction – quel genere molto alla moda, specie in Francia, tra autobiografia e romanzo – anzi, la incita a frugare ancora negli angoli bui della sua vita perché, sostiene, il pubblico non sa che farsene ormai della pura invenzione romanzesca e vuole la verità, fatti realmente accaduti. Ma Delphine, mentre la singolare relazione va avanti e il potere di L. cresce, comincia nascostamente a frugare non nei propri angoli bui ma in quelli della sua invadente amica…
L. è una ghost-writer o invece un ghost, un vero fantasma, un’ombra della mente? Una reale presenza o una figura dello specchio interiore? Nell’ultima parte del libro – angosciosa e ossessiva, aperta non a caso da una frase di Stephen King - ogni lettore è invitato a dare la sua interpretazione. Intanto, però, con una dettagliata e coinvolgente descrizione dell’inquietante quotidianità in cui si intreccia la relazione delle due donne – paure, ansie, goffaggini, incertezze - Delphine de Vigan ha messo in campo temi che nessuno può dubitare di conoscere: il potere della manipolazione, il fascino dell’intimità come di un dono e un vincolo cui è difficile sottrarsi, e soprattutto la fragilità, quella spesso occultata vulnerabilità che ci mette in balia degli altri, bisognosi come sempre siamo di protezione e di ascolto e di cura. A volte – spesso - sbadatamente. Alla fine, comunque, viene da pensare che nel duello letterario tra le due ha vinto L., persino nel titolo che suona appunto Da una storia vera : ma, anche qui, sta a chi legge stabilire se siamo di fronte a letterale autobiografia o a una ben congegnata fiction.
Delphine de Vigan, Da una storia vera, trad. di Elena Cappellini, Mondadori, Milano, pagg. 312, € 19