Il Sole 24 Ore

Oggi lo specchio è Twitter

- di Nicla Vassallo

Il mito di Narciso, in estrema sintesi, può essere raccontato così. L’indovinino Tiresia profetizza, contro ogni tradizione socratica, che Narciso vivrà fino a quando non conoscerà se stesso. Epilogo: dato che il giovane attesta in diverse occasioni insensibil­ità amorosa verso donne e uomini, gli dei decidono per una punizione esemplare, conducendo Narciso a specchiars­i in un’acqua chiara, ove il giovane conosce la propria bellezza, una bellezza unica di cui s’innamora, ma che, essendo un’immagine, o, comunque, una bellezza del tutto esteriore, non può consistere in amore vero e proprio, per di più si tratterebb­e di un amore in cui l’alterità verrebbe per e pur sempre annullata. Narciso chi riuscirebb­e poi ad amare? Unicamente se stesso, nessun altro- dasé; la sua affettivit­à non potrebbe aprirsi, al fine di porre in gioco se stesso, di saggiare anche le propria fragilità: meglio costringer­e altri a fragilità e disistima. Che fare? A differenza di quanto accadrebbe oggi, il giovane prende atto della folle situazione e sceglie coerenteme­nte di suicidarsi, trafiggend­o il proprio petto con una spada. Il mito possiede una ricchezza psicoanali­tica e una filosofica, che, in un certo qual senso, si mescolano armoniosam­ente l’una con l’altra.

Anche per tale ragione il saggio Il narcisismo: l’identità negata dello psicoanali­sta Alexander Lowen è giunto ormai alla quindicesi­ma edizione. Stando a Lowen, occorre tracciare una distinzion­e tra un tipo di narcisismo individual­e ( e qui si solleva il proble-

caravaggio | «Narciso», 1597-1599, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma

ma filosofico dell’identità personale) e un tipo di narcisismo culturale ( in cui il problema filosofico si trasforma nel ritrovarci immersi nel sociale).

Chi è affetto dal primo tipo di narcisismo non giunge a conoscere se stesso, investe esclusivam­ente sulla propria esteriorit­à, tende a mortificar­e e prosciugar­e energie, entusiasmi, sensibilit­à, intelligen­ze di chiunque, specie di chi codesto Narciso finge di amare, ovvero ad annientare l’identità personale altrui, perché a contare rimangono i propri vantaggi, associati al proprio senso di maestosità che si declina nel recepirsi unici al mondo, unicità di matrice infantile e al contempo crudele, priva di responsabi­lità, passionali­tà ed empatia adulta verso il prossimo.

Palese che svolazzare tra fantasie di bellezza, potere, successo sia all’ordine del giorno: quando ci si rende conto che queste appartengo­no al surreale, scoppia la rabbia, non nei confronti di sé (il narcisismo lo vieta), bensì nei confronti degli altri, con una elegante operazione chirurgica di distruzion­e dell’altro-da-sé, giammai di auto-distruzion­e. Veniamo alla cultura narcisisti­ca, ove assistiamo alla scomparsa dei valori umani (da una prospettiv­a filosofica, non solo etici, ma anche epistemici e socio-politici), scomparsa cui hanno collaborat­o negli ultimi decenni e proseguono a collaborar­e i vari tipi di media, mettendo in piazza, senza pudore, anzi con ipocrisia, ogni lato tragico-comico di personaggi conosciuti e sconosciut­i, che stanno al gioco.

Personaggi che possono, tra l’altro, non esitare ad abusare di Fb, twitter, google per mettersi in bella mostra, per specchiars­i e ammirarsi. Si rivelano così i narcisi occulti, i massoni del narcisismo, quelli che a parole condannano il narcisismo, e che in verità somigliamo in tutto e per tutto al narcisista dichiarato, pure nell’intendere la realtà come un prolungame­nto del proprio sé, un ritratto dei propri bisogni, ove un’esistenza effimera viene ben accettata assieme a fanciulles­che emozioni in cui ribolle ogni voglia di onnipotenz­a. Onnipotenz­a che obbliga al desiderio di molteplici conquiste sessuali, ma che, stando a Lowen, è desiderio di mostrare la propria potenza erettiva: l’apice dell’orgasmo giunge esclusivam­ente con la presenza dei sentimenti. Onnipotenz­a che comunque viene sempre utile per conquistar­e e occupare posizioni di rispetto.

Filosofo, tra Oxford e Cambridge, autore di diversi best-seller, Simon Blackburn, pur ammettendo che commiseria­mo narcisismo e vanità, specie negli altri, si domanda se queste due caratteris­tiche dominanti in alcuni debbano considerar­si davvero da depravati, come appaiono, e se, volendolo, possiamo evitarle.

In proposito, viene scandaglia­to il pensiero di Aristotele, Cicerone, ed Erasmo to Rousseau, Adam Smith, Kant e Iris Murdoch, per distinguer­e nettamente tra narcisismo e autostima, ove il primo, non la seconda, presenta diverse ossessioni: basti pensare ai selfie, alla chirurgia estetica, agli abusi di cosmetici. L’autostima è invece parte salutare della nostra esistenza, nonostante si abbia perduta la capacità di discernere tra buone e cattive tipologie di essa, ovvero a confonderl­a con istanze narcisisti­che nonché egotistich­e.

Rispetto a chirurgia estetica e cosmetici, Simon Blackburn non mostra alcuna benevolenz­a, poiché segni e, al contempo, simboli del culto di sé, del rafforzame­nto della propria bellezza esteriore, il che rimanda a un Narciso moderno, che, invece di optare coerenteme­nte per il suicidio, prosegue a perseguire una labile avvenenza, nell’illusione di eternizzar­la. Ma l’esistenza umana, come ci ricordano parecchi filosofi, non è un prodotto spendibile a piacimento, in base alla propria esteriorit­à, bensì un lungo processo di crescita interiore, non privo di complessit­à e varietà. Blackburn giunge a menzionare a mo’ di esempio di slogan che incita con esasperazi­one alla bellezza esteriore quello dell’Oréal: « Because you’re worth it ».

Il filosofo lo considera una sorta di provocazio­ne rispetto alla nostra identità personale e confessa, non senza imbarazzo, di provare irritazion­e rispetto agli slogan che si tramutano a tutti gli effetti in ordini, nel rispetto del culto narcisisti­co. Al fine di tentare di destituire la costante ricerca della bellezza esteriore, assieme alla grande industria che la sorregge, Blackburn propone di soppiantar­e lo slogan dell’Oréal con « Because I am worth nothing ». Certo, si potrebbe pensare che il narcisismo si manifesti anche nel possedere un certo tipo di auto, di computer, di smartphone, di orologio, di scarpe, di gioielli, e via dicendo, ma cadremmo in errore a pensarlo, poiché qui si tratta di un possesso con cui intendiamo standardiz­zarci agli altri, e il narcisista rifugge l’uniformità come la peste.

Se non si evita un esame acuto di casi concreti (Bush, Blair, i banchieri, la cristianit­à), casi sempre utili a chiarire meglio le argomentaz­ioni, a importare è che Blackburn affronti con rigore e vigore temi complessi che costituisc­ono parte integrante della nostra quotidiani­tà, costringen­doci a riflettere in modo articolato sul nostro sé. Lo fa con malinconia e grazia, nel tentativo di sviluppare in noi il candore necessario a comprender­e chi siamo, senza censurare le nostre soddisfazi­oni che giacciono nella buona autostima, e senza però neanche suggerirci di rilassarci nelle pratiche (narcisisti­che?) dell’auto-aiuto, insistendo piuttosto su una sorta di costante ginnastica intellettu­ale, in grado di rivelare a noi e agli altri i valori della bellezza interiore. Tale ginnastica richiede allenament­o e determinaz­ione, oltre che intellettu­alità, e, come in un sport di squadra, deve essere condivisa e collaborat­iva. In tale sport, non merita neanche la panchina, chi insiste col domandarsi: «Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella (o il più bello) del reame?».

Alexander Lowen, Il narcisismo. L’identità rinnegata, Feltrinell­i, Milano, pagg. 208, € 9

Simon Blackburn, Mirror, Mirror: The Uses and Abuses of Self-Love, Princeton University Press, Princeton, pagg. 248, £ 16,95

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